Dal Sound Branding al podcast, le evoluzioni delle nuove esperienze sonore

Nell’agosto del 1981 MTV trasmetteva il suo primo videoclip, un anthem dal titolo quanto mai emblematico, Video Killed The Radio Stars del duo synth pop inglese The Buggles, quasi a presagire quello che sarebbe avvenuto negli anni a venire, con uno strapotere del videoclip televisivo come medium principale di diffusione per i consumi musicali, a dispetto di quello che era stato sino a quel momento il mezzo principale, ovvero la radio.

21 Aprile, 2023 - ~ 4.5 minuti

Partiamo da qui, senza troppo soffermarci su quello che è accaduto nei decenni a venire, solo per enfatizzare quello che da diversi anni viene chiamata Aural Attention Economy, ovvero il mercato legato all’attenzione uditiva da parte delle persone, dove sembra che l’aspetto sonoro si sia preso quanto meno una parziale rivincita rispetto a quello audiovisivo.
Nella cultura (e nel mercato) dell’immagine c’è ancora poca consapevolezza dell’impatto e della potenza di tutto questo mondo sonoro.

Si tratta di un mercato di grandi proporzioni, legato non solo alla musica e al mercato discografico, ma al Sound Branding (l’identità sonora dei marchi), ai podcast (e ai branded podcast), alla diffusione di smart speaker, voice assistant e tutta la gamma di hearables, ovvero degli auricolari intelligenti, strumenti che hanno il potere di farci vivere in maniera sempre più pratica, facile e immersiva le nostre esperienze sonore.

Questa dinamica abbraccia sempre di più le abitudini di consumo di media culturali e di intrattenimento da parte del pubblico, con l’incursione ovvia anche dei brand che spesso e volentieri iniziano a fare di questo ambito, fluido e variegato, uno degli asset della propria comunicazione.

La tematica è sicuramente vasta, ricca di sfumature e in continua nomenclatura da parte dei marketer, che cercano nuove definizioni e nuove strategie per la messa a terra di questi elementi all’interno dei piani di comunicazione aziendale.
Nel frattempo cerchiamo di fare un po’ di ordine, mettendo in luce una serie di recenti contributi e studi su questo macro trend.

(Credits immagine ROI Edizioni)

Tutto è suono, l’essenza del Sound Branding

È recentemente uscito il libro “Tutto è suono”, scritto dalla sound designer Chiara Luzzana, una delle principali esponenti sul tema del Sound Branding e sull’utilizzo di elementi sonori all’interno delle attività di marketing da parte dei brand. Il sottotitolo del libro “Il mio viaggio alla scoperta dell’identità sonora di brand, momenti e persone”,  condensa bene un immaginario sonoro complesso, denso e variegato, guidandoci alla scoperta del suono che è intorno a noi e che ci definisce nella nostra esperienza e nella nostra vita molto più di quanto avremmo mai creduto.

Un libro che definisce al meglio la dimensione della “aural attention”, partendo proprio dalle persone e dalle esperienze nell’ambiente in cui viviamo, arrivando poi ad esempi pratici su come definire e sviluppare un’identità sonora per i brand.
Nella parte finale del suo lavoro, Chiara Luzzana definisce inoltre le tre caratteristiche principali del sound branding, ovvero la consapevolezza, il valore e la coerenza.

Traendo spunto inoltre dagli archetipi di Carl Gustav Jung nel suo libro “L’eroe dai mille volti” del 1973, definisce dodici categorie all’interno delle quali una identità sonora può essere definita: sovrano, creatore, innocente, saggio, esploratore, eroe, mago, ribelle, uomo comune, burlone, amante e custode. Il suggerimento è quello di scegliere due di questi tratti distintivi per il proprio sound branding dove “uno sarà dominante, l’altro secondario, un compagno di viaggio che rende l’altro più interessante”.

TikTok, Instagram e produzioni musicali “social shaped”

Il boom di TikTok e dei video brevi in cui l’elemento musicale diviene centrale, per permettere balletti coreografici o esibizioni in playback da parte degli utenti, ha avuto negli ultimi anni un impatto molto importante a livello di content strategy da parte dei brand, trovando ampio spazio anche su Instagram, tramite i principali formati di Reels e Stories, e influenzando in parte anche la produzione musicale, visto che brevi spezzoni musicali di artisti semi sconosciuti sono divenuti virali grazie proprio a diversi video amatoriali apparsi all’interno della piattaforma. Qui abbiamo ad esempio una significativa playlist di brani che può aiutare a comprendere meglio ciò di cui stiamo parlando. 

Con il tempo si è dovuto anche trovare una adeguata regolamentazione tra piattaforme, case discografiche e artisti, con TikTok che ha inoltre lanciato nel maggio 2022 SoundOn, una piattaforma all-in-one per il marketing e la distribuzione della musica, progettata per potenziare artisti nuovi e sconosciuti, aiutandoli a sviluppare e costruire le loro carriere.

Spotify ha salvato l’industria musicali, scordandosi dei musicisti

Il titolo di questo paragrafo è un incipit che ci è capitato di leggere in una delle recensioni della serie tv “The Playlist”, disponibile su Netflix, che racconta il miracolo imprenditoriale del giovane founder di Spotify Daniel Ek, riaccendendo per l’occasione le polemiche sulle bassissime royalties riconosciute agli artisti.

Lanciato nell’ottobre del 2008, Spotify oggi è un brand planetario dai numeri abnormi, con il counter dei suoi streaming che influenza la carriera degli artisti, ospitando al suo interno KPI spesso decisivi nelle attività di booking e nei cachet per le esibizioni live.

A fine 2022 la piattaforma può contare su oltre 450 milioni di iscritti (prevista quota 500 entro la fine del primo trimestre del 2023), 210 dei quali con abbonamento Premium a pagamento, mentre la restante ampia fetta di pubblico viene monetizzata attraverso gli inserzionisti pubblicitari, portando i ricavi totali a 3,17 miliardi di euro alla fine dello scorso anno.
A fronte di questi numeri, si può ben comprendere come Spotify raccolga una quantità di dati abnorme, non solo a livello socio-demografico ma anche per preferenze musicali, diventando così con facilità anche una piattaforma estremamente performante per la vendita di spazi pubblicitari altamente targettizzati.

Spotify non è l’unica piattaforma di streaming musicale, gli altri player come Apple Music, Tidal, Deezer e Amazon Music non arrivano però a concorrere in maniera efficace in termini di numeri e performance con il colosso svedese, che sta comunque affrontando alcuni importanti cambiamenti nel suo modello di business che l’ha costretto a licenziare recentemente circa 600 dei suoi 10.000 dipendenti.

Le nuove evoluzioni del podcasting

È proprio Spotify nel suo report annuale, a fornirci un aggiornato stato dell’arte di questo formato che nel corso dell’ultimo quinquennio (a fronte di uno storico ormai quasi ventennale) ha avuto numeri da capogiro.

During 2020 and 2021, the COVID-19 pandemic brought new creators to podcasting and we saw an influx of content, driving increased listenership and advertiser investment that has continued into 2022. If 2021 was a story of content explosion, then 2022 is one of diversification. As podcasting matures as a medium, we’re seeing growth among new segments – for example, listenership from outlying demos and countries newer to podcasting, consumption of different genres, and investment from more traditional brands. Fonte: 2022 Podcast Trends Report

È cresciuto il consumo di podcast, come è cresciuta la produzione di questi contenuti audio on demand, trasversali per tipologia (ci sono podcast nativi oppure repliche di puntate radiofoniche o destinate primariamente ad altre piattaforme), per topic (dalla cultura all’intrattenimento), per tecniche narrative utilizzate e per presenza di brand (di diversi settori merceologici) al loro interno in maniera più o meno velata. Anche in questo caso Spotify non è l’unica piattaforma a disposizione ma si affianca a quella di altri importanti player come Spreaker, Apple Podcast, Google Podcast e Audible.
Secondo l’Ipsos Digital Audio Survey, in Italia gli ascoltatori di podcast nel 2022 sono stati circa 11,1 milioni, in una fascia d’età tra i 16 e i 60 anni, ben 1,8 milioni in più rispetto all’anno precedente. 

Circa 11 milioni di persone ha ascoltato un podcast nell’ultimo mese, soprattutto tramite smartphone (72%), a seguire computer, iPad, Smart TV e Smart Speakers, preferibilmente a casa (73%), con la restante parte divisa tra auto, mezzi di trasporto, outdoor e lavoro. L’interesse per un argomento è il principale driver di scelta nella ricerca e nell’ascolto di un podcast. Il 43% dell’utenza è rappresentato giovani sotto i 35 anni, mentre il 58% ascolta un podcast sino alla fine e il 71% ricorda di aver ascoltato messaggi pubblicitari abbinati ad un podcast, un’altra delle modalità con le quali i brand vanno ad inserirsi all’interno di questi spazi per raccogliere l’attenzione delle persone. L’altra modalità è quella di diventare essi stessi degli editori, proponendo delle serie di branded podcast in cui la loro presenza deve trovare un giusto balance di coerenza e consistenza rispetto alle storie che vengono raccontate.

“Hey Google, fammi ascoltare qualcosa di nuovo!”

A margine di quanto raccontato sino ad ora, un altro elemento che ha contribuito alla diffusione dei podcast e di nuove e continue esperienze sonore, è il mercato di smart/home speaker e voice assistant.

L’interazione vocale con questi device, soprattutto in ambiente casalingo, ne favorisce l’utilizzo e la conseguente fruizione di contenuti.
Amazon Echo, Google Nest, Apple Homepod sono i tre modelli più performanti e diffusi, in un segmento di mercato da 137 milioni di euro nel 2022 solo in Italia, anche se il trend è il leggero rallentamento a causa delle minori richieste con le case dotate già di diversi dispositivi, soprattutto dopo il boom del periodo pandemico.

Manca qualcosa a questo nostro racconto sonoro? Sicuramente sì, ma abbiamo qualche nuovo progetto ed evento in cantiere, pronto ad uscire dalla nostre chat su Slack e prendere nuova vita. Rimanete in ascolto!