La sottile linea di confine tra Arte e Pubblicità: sodalizio e ribellione

C'è una sottile linea che divide arte e pubblicità, proprio come esiste un legame intrinseco tra la pubblicità e il contesto sociale ed estetico in cui opera. Anche se l’Arte con la "A" maiuscola sembra insuperabile, la pubblicità come ritratto di un’epoca con i suoi costumi spesso ne sfiora i confini. Crediamo che questa tendenza continuerà in futuro: in fin dei conti, una buona pubblicità è un insieme di creatività, evocazione emotiva e tempismo, capace di suscitare emozioni e adattarsi al suo preciso contesto storico e culturale. Notate delle somiglianze con l'Arte? Bene, anche noi ora vi mostreremo alcune campagne pubblicitarie del passato, che non solo si possono considerare quasi delle “opere d'arte”, ma che giocano su questa sottile linea di confine, ironizzando con il concetto stesso di arte per coinvolgere lo spettatore in modo creativo e sorprendente.

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22 Maggio, 2024

Il dialogo seducente tra arte e pubblicità: dall’Art Nouveau alla Pop Art

Il dialogo tra arte e pubblicità, dall’Art Nouveau alla Pop Art, costituisce un intreccio complesso che fin dai suoi esordi ha profondamente influenzato la società. Questa interazione ha origine nella seconda metà dell’Ottocento, quando i manifesti pubblicitari cominciarono a emergere come strumenti per la promozione di prodotti e servizi, spesso ispirandosi all’estetica dell’Art Nouveau. Questo legame ha una storia ricca e affascinante che inizia con l’introduzione dei primi loghi aziendali su prodotti industriali come le zuppe Campbell, i sottaceti Heinz e i cereali Quaker Oats, alla fine del XIX secolo. Secondo Ellen Lupton e J. Abbott Miller, esperti di design, questi marchi sono stati fondamentali nel conferire identità ai prodotti industriali e nel renderli familiari ai consumatori, assumendo in parte il “ruolo del negoziante” come figura rassicurante nell’immaginario collettivo.

Le prime campagne pubblicitarie, sviluppatesi all’inizio del XX secolo, erano caratterizzate da semplicità e immediatezza. Henri de Toulouse-Lautrec, celebre pittore impressionista, utilizzò il proprio talento per promuovere locali e personalità della Belle Époque, come Jean Avril e Aristide Bruant. Jules Chéret, considerato un pioniere dell’arte pubblicitaria, introdusse poi la litografia e la cromolitografia, dando vita a manifesti caratterizzati da linee sinuose e colori brillanti.

La Pop Art nella cultura del consumo

Negli anni Sessanta, la Pop Art, guidata da figure di spicco come Andy Warhol e Roy Lichtenstein, si è distinta per l’esplorazione attiva del confine tra arte e pubblicità. In questa fase, l’attenzione si concentrava sull’analisi critica dei nuovi costumi urbani, dell’immaginario di massa e dei miti della società moderna. Trasfigurando prodotti commerciali come lattine di zuppa in arte iconica, la Pop Art ha offerto una critica e una celebrazione simultanea della cultura del consumo.

Andy Warhol, figura iconica della Pop Art, ha portato avanti questa rivoluzione visiva, trasformando prodotti commerciali come la zuppa Campbell e la Coca-Cola in opere d’arte attraverso la serigrafia. Warhol ha inoltre reso protagonisti della sua arte alcuni celebri personaggi dell’epoca, come Marilyn Monroe e Elvis Presley, offrendo una prospettiva unica sull’immagine di massa e sulla cultura consumistica. Negli anni di Warhol, la pubblicità ha così iniziato a incanalare l’energia delle avanguardie artistiche e delle contestazioni giovanili, infondendo nella sua narrativa l’irriverenza e il senso del cambiamento sociale.

Richard Hamilton, dal canto suo, ha giocato un ruolo significativo introducendo la narrazione dello stile di vita moderno attraverso l’arte, in modo particolare con il suo collage Just What is it That Makes Today’s Home So Different, So Appealing?, che si focalizzava sulla cultura urbana e sui miti della società. La Pop Art ha così abbracciato immagini del quotidiano, gesti di consumo inclusi, come riflesso del linguaggio contemporaneo.

I Favolosi Anni Ottanta: dalla Swatch mania alle provocazioni di Oliviero Toscani

Negli anni Ottanta, l’espansione della pubblicità ha raggiunto un livello senza precedenti, diventando un potente veicolo per la creatività e la comunicazione. Le tecniche di rappresentazione e trasmissione pubblicitaria si sono affinate, sostenute dall’avanzamento delle tecnologie dell’informazione. Questo decennio ha visto un crescente scambio tra le aree artistiche e commerciali, dando vita a una nuova fusione tra l’arte e la pubblicità.

Uno dei casi più evidenti di questa contaminazione è rappresentato dalle campagne pubblicitarie degli orologi Swatch. Con il coinvolgimento di artisti affermati come Ugo Nespolo e Alessandro Mendini, Swatch ha rivoluzionato l’immagine dell’orologio, dando vita a una nuova estetica che ridefiniva il concetto stesso di tempo. Le loro campagne hanno reso l’orologio un oggetto non solo funzionale, ma anche artistico.

Anche Benetton, una delle multinazionali dell’abbigliamento più influenti del periodo, ha segnato gli anni Ottanta con campagne pubblicitarie uniche e provocatorie. Sotto la guida del fotografo Oliviero Toscani, Benetton ha lanciato campagne audaci e innovative che hanno sfidato le norme tradizionali. Toscani ha sconvolto il pubblico con la sua campagna per i Jeans Jesus, dove mescolava immagini sensuali con citazioni bibliche come Chi mi ama mi segua e Non avrai altro jeans all’infuori di me. La reazione, in Italia, paese profondamente religioso, è stata di scandalo e controversia.

Per Benetton, Toscani ha iniziato nel 1982 una serie di campagne che rompevano con le tradizionali convenzioni pubblicitarie. Queste campagne non mostravano necessariamente i prodotti, ma si affidavano alla potenza del marchio e alla riconoscibilità delle immagini di Toscani. Le sue fotografie colpivano l’opinione pubblica con immagini irriverenti, provocando deliberatamente scandalo per trasmettere messaggi non solo pubblicitari, ma anche e soprattutto sociali. Tra le sue campagne più memorabili ci sono quelle con immagini scioccanti: bambini con la sindrome di Down, persone condannate a morte, un ragazzo morente di AIDS, e il controverso bacio tra un prete e una suora. Toscani ha sfidato il concetto tradizionale di pubblicità, creando immagini forti e memorabili che hanno cambiato per sempre il panorama della comunicazione pubblicitaria.

In un decennio dominato dalla pubblicità, gli anni Ottanta hanno dimostrato come l’arte e il commercio possano unirsi in modo creativo, influenzando non solo le tendenze di marketing, ma anche la società e l’opinione pubblica.

Arte e Pubblicità: La Visione Critica e Provocatoria di Barbara Kruger e Jeff Koons

La contaminazione culturale tra arte e pubblicità ha prodotto alcuni degli artisti più influenti del ventesimo secolo. Tra questi, Barbara Kruger si è distinta per il suo stile unico, che sovrappone immagini fotografiche semplici a slogan provocatori. Kruger utilizza un’estetica simile a quella dei cartelloni pubblicitari, ma invece di glorificare i consumi, lancia messaggi di critica sociale e antagonismo. Frasi come “Compro quindi sono”, “Noi non abbiamo bisogno di un altro eroe” e “Tu non sei te stesso” riflettono una critica radicale alla società consumistica. La sua opera “I Shop Therefore I Am” è diventata un’icona del postmodernismo, rappresentando la critica dell’artista all’influenza pervasiva del consumismo nella nostra identità.

Un altro artista che ha dominato la scena degli anni Ottanta è Jeff Koons, noto per la sua provocatoria miscela di cultura pop e arte contemporanea. Koons ha raggiunto la fama anche grazie alla sua relazione con la pornostar Ilona Staller, meglio conosciuta come Cicciolina. Questa storia d’amore e le successive battaglie legali hanno contribuito ad alimentare la sua fama, ma è stato il suo lavoro artistico a consolidare il suo status di “artista superstar”. Koons è diventato noto per le sue sculture di acciaio e ceramica che riproducono oggetti glamour come palloncini, pupazzi per bambini e simboli della cultura pop, tra cui Michael Jackson. La serie “Made in Heaven”, che rappresenta la sua relazione con Cicciolina, ha scatenato scandali, portando l’artista a esplorare i confini tra arte e pornografia.

La produzione artistica di Koons è stata ulteriormente amplificata dalla serie “Celebration”, dove il figlio Ludwig diventa protagonista. Questa serie rappresenta appieno il fascino di Koons per la società dello spettacolo – termine coniato dal filosofo e teorico sociale francese Guy Debord nel 1967 per evidenziare il ruolo predominante che i media e la cultura di massa hanno assunto nel plasmare le esperienze quotidiane e la percezione della realtà.

Il lavoro di Kruger e Koons dimostra come l’arte possa andare oltre la semplice rappresentazione estetica, diventando un mezzo per esplorare criticamente la società. Mentre Kruger utilizza slogan per sfidare il consumismo e le norme sociali, Koons fonde il kitsch con l’arte di alto livello, sfumando i confini tra spettacolo e realtà.

Quando Arte e Pubblicità sono in conflitto

Dagli anni Sessanta in poi, diverse correnti artistiche, oltre a cercare un sodalizio con la pubblicità, hanno anche sfidato la società dei consumi, invitando il pubblico a una lettura critica dei messaggi pubblicitari che promuovevano una cultura “insana”: quella del consumo di massa. Gli artisti Christo e Jeanne-Claude si distinguono per le loro installazioni monumentali, con le quali impacchettano oggetti, edifici ed elementi naturali. Il loro intento è, fin dagli esordi, quello di denunciare il desiderio dell’uomo di mascherare tutto con involucri ingombranti. Tra i loro lavori più celebri troviamo l’impacchettamento del Reichstag a Berlino e le passerelle galleggianti sul Lago d’Iseo, “The Floating Piers”, che nel 2016 hanno attirato oltre un milione di visitatori in 16 giorni. Queste installazioni incoraggiavano lo spettatore a riconsiderare la natura degli oggetti che li circondano, mettendo in luce la trasformazione degli stessi a causa dell’influenza della società consumistica.

Un altro artista che ha offerto una critica acuta alla società dei consumi è stato Duane Hanson. Le sue sculture iperrealistiche in resina raffigurano individui comuni in situazioni quotidiane, come donne trasandate e consumatori immersi nelle loro spese. Utilizzando vestiti e accessori reali, Hanson ha creato figure inquietanti che sembrano frammenti di vita reale, costringendo gli spettatori a riflettere sulla banalità del consumismo moderno.

L’artista tedesco Hans Haacke ha esplorato un approccio differente, citando e ricontestualizzando frammenti delle campagne pubblicitarie dell’agenzia Saatchi & Saatchi. Haacke ha messo in discussione il ruolo della pubblicità nella manipolazione delle masse, evidenziando come i messaggi commerciali possano distorcere la percezione della realtà. Queste diverse forme di espressione artistica rivelano come gli artisti abbiano affrontato in modo la società dei consumi, mettendo nel loro mirino la pubblicità come mezzo di diffusione di abitudini e comportamenti sbagliati.

Culture Jamming: Interferenza Culturale e Ribellione Pubblicitaria

Il termine “culture jamming,” tradotto in italiano come “interferenza culturale,” è stato coniato nel 1984 dalla band musicale Negativland di San Francisco, nota per il suo stile musicale di collage sonoro. Questo concetto si riferisce agli interventi creativi e sovversivi che alcuni gruppi e individui effettuano sulla pubblicità, distorcendo i messaggi originali per rivelarne i significati nascosti e i segreti della campagna pubblicitaria stessa.

Uno dei gruppi più attivi in questo ambito è il Billboard Liberation Front, fondato negli anni ’70 da Jack Napier e Irving Glikk. Le loro operazioni artistiche avvengono spesso di notte, poiché sono attività illegali, e nei giorni festivi quando è più facile sfuggire al controllo della polizia. Gli interventi del BLF mirano a stravolgere abilmente i messaggi dei cartelloni pubblicitari. Il loro lavoro inizia con una preparazione in studio, dove creano mascherine che vengono poi applicate sui cartelloni pubblicitari con vernici e spray. Ogni azione è attentamente pianificata in base al contesto e alla fattibilità dell’intervento, preceduta da una dettagliata documentazione sul campo.

Le prime azioni del BLF erano focalizzate sulle pubblicità delle sigarette, con l’obiettivo di denunciare la pericolosità dei prodotti. Nel 1977, durante la notte di Natale, condussero nove interventi simultanei sui manifesti pubblicitari di San Francisco. Un esempio noto riguarda le sigarette Fact, dove il messaggio originale I’m realistic. I only smoke Facts (Sono realista, fumo solo Facts) fu modificato in I’m real sick. I only smoke Facts (Sono molto malato, fumo solo Facts). Un altro famoso intervento è la “controcampagna” Exxon del 1986, in cui “HITS HAPPEN-NEW X-100” (Un avvenimento sensazionale: la nuova x-100) fu cambiato in “SHIT HAPPENS-NEW EXXON” (Avvenimenti di merda-new Exxon).

Le radici del culture jamming si trovano nelle provocazioni del movimento Dada e nei détournements situazionisti, che con umorismo e sarcasmo usavano citazioni e riferimenti per sfidare lo status quo. Slogan come “Vietato vietare,” “Chiediamo l’impossibile,” e “Vivere senza tempi morti, godere senza ostacoli” riflettono questa influenza. Questi motti, nati durante le proteste del maggio francese, rivitalizzarono il linguaggio pubblicitario negli anni Ottanta e sono ancora oggi ricordati da creativi e pubblicitari.

Guerrilla Girls: il Femminismo Artistico Performativo

Il gruppo Guerrilla Girls rappresenta un esempio emblematico di interferenza tra arte performativa e attivismo politico. Fondato nel 1985, questo collettivo di artiste, scrittrici, performer e registe si batte contro ogni forma di discriminazione di Genere, utilizzando l’ironia e la provocazione come strumenti per stimolare il dibattito e creare consapevolezza. Indossando maschere da gorilla, le Guerrilla Girls nascondono la propria identità per enfatizzare la centralità delle loro cause, come si legge sul loro sito: “We could be anyone; we are everywhere.”

Le Guerrilla Girls organizzano eventi artistici che hanno un forte impatto ideologico, producendo contromanifesti, adesivi, magliette e altri oggetti che vengono venduti online per finanziare le loro attività. Tra i manifesti più noti c’è quello in cui una figura femminile nuda, ispirata alla “Grande Odalisca” di Ingres, che indossa una maschera da gorilla. Lo slogan recita: “Do women have to be naked to get into the Met. Museum?” (Le donne devono essere nude per entrare al Metropolitan Museum?). Questa opera denuncia la mancanza di attenzione verso l’intelligenza e la creatività femminile, utilizzando le tecniche della comunicazione pubblicitaria per trasmettere il messaggio in modo efficace.

Negli ultimi vent’anni, l’attivismo femminile nel campo dell’interferenza culturale è stato intenso e produttivo. La maggior parte dei prodotti commerciali tende a rivolgersi all’immaginario femminile, promuovendo stereotipi problematici. Inoltre, le istituzioni museali spesso hanno dato poca importanza alla produzione artistica femminile, creando le premesse per un impegno nell’arte di strada e nel web, che si sono dimostrati canali ideali per diffondere il punto di vista delle donne. Molte artiste si sono organizzate in piccoli collettivi, come le Riot Grrrl e le Bitch Brigade, creando spazi online e gruppi di guerriglia urbana.

Le nuove frontiere della critica sull’arte contemporanea sono influenzate da questo fenomeno, che incorpora la realtà attraverso una contaminazione tra culture diverse (genere, etnia, ideologie, mercato). Gli Stati Uniti, in particolare, sembrano essere un modello da cui si sta diffondendo questo movimento, con una globalizzazione dei linguaggi, dei modelli e delle icone di riferimento.

Quando la Pubblicità prende in prestito l’Arte

L’uso dell’arte nella pubblicità non è un fenomeno nuovo. Le opere di Picasso, ad esempio, sono state spesso utilizzate per innumerevoli campagne pubblicitarie. Una di queste ha ironizzato sul rapporto tra arte e pubblicità con la frase: “Et voilà, art, err, intendiamo pubblicità”: la ricordate? E se l’impatto visivo e creativo della sua arte ha reso Picasso una fonte d’ispirazione per diverse campagne di marketing, anche la figura di Salvador Dalí, con le sue opere surrealiste, non è stata meno sfruttata. La sua “Tentazione di Sant’Antonio” è stata scelta per promuovere una società di investimenti. In questi casi, la pubblicità diventa padrona di casa, aprendo le sue porte all’arte e incorporandola nel suo linguaggio.

Il legame tra arte e pubblicità non si ferma qui. La Gioconda, famosa opera di Leonardo da Vinci, è da tempo protagonista di diverse campagne pubblicitarie che le danno una nuova vita al di fuori del museo. Possiamo persino dire che la Gioconda sia una sorta di influencer ante litteram. Ha prestato il suo sorriso enigmatico a molte campagne, come quella per la prevenzione dei tumori, dove è stata mostrata calva, grazie all’abilità dei grafici nell’utilizzare i programmi digitali.

Un altro esempio è la campagna di Ferrarelle, che ha utilizzato la sua immagine con originalità, o quella di Pantène, che le ha dato un caschetto viola per pubblicizzare un asciugacapelli, facendola sembrare “più giovane”. Epson, d’altro canto, ha distorto il suo viso in una smorfia caricaturale. Questi esempi mostrano come l’arte possa essere reinterpretata in modi inaspettati, dimostrando che l’incontro tra arte e pubblicità continua a evolversi, creando nuove connessioni tra due mondi apparentemente diversi.

La linea di confine tra pubblicità e arte è in continua evoluzione, con l’una che si nutre dell’altra in un dinamico scambio di creatività e messaggi. Le opere di Picasso, Dalí e della Gioconda, reinterpretate in vari contesti pubblicitari, ci mostrano come l’arte possa essere trasformata per servire nuovi scopi, dando vita a creazioni innovative e affascinanti. Questa sinergia tra due mondi apparentemente distinti continua a sfidare e sorprendere, aprendo sempre nuove frontiere di espressione creativa.

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