Il creator come professione e la potenza delle nuove narrative glocal

Il primo appuntamento con la rassegna Talking Heads ci ha regalato un’ora e mezza di discussione in presenza, con una tavola rotonda dove abbiamo avuto il piacere di mixare una serie di voci autorevole sulle tematiche della content creation, dell’influencer marketing e della new wave dello storytelling “glocal”.

  • Marketing e Comunicazione
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01 Giugno, 2023

Sono emersi nuovi spunti utili per tutti marketing manager e i digital strategist che lavorano in azienda o in agenzia, riprendendo una serie di tematiche che avevamo iniziato ad esplorare il mese scorso, sempre qui su NOOO Borders, quando abbiamo parlato di vanity metrics e delle nuove relazioni tra brand e creator, sottolineando il valore delle community, anche quelle più piccole ma legate attorno a tematiche precise.

Ne abbiamo ricavato diverse visioni e suggestioni, grazie all’intervento di tre giovani creator come Massimo Barco, Mattia Malengo e Samantha Capuzzo di Magna Padova, che hanno condiviso le tappe salienti della loro carriera professionale, perché di un lavoro vero e proprio si tratta.

A loro è aggiunto Alessandro Pittoni, responsabile del progetto Padova Stories, che di fatto ha usato diversi content creator come amplificatore della propria narrativa basata sulle storie di successo locali, lasciandoci delle interessanti riflessioni su alcuni trend in crescita all’interno delle produzioni anche dei big player come Sky e Netflix.

All’interno del complesso e variegato ecosistema dei social network, ci siamo focalizzati principalmente su Instagram, TikTok e Youtube come piattaforme in cui si concentra il core della creator economy, con un valore economico di 294 milioni di euro di investimento da parte dei brand nel 2022 (+8% rispetto all’anno precedente), secondo i dati forniti da UPA – Utenti Pubblicità Associati.

Andiamo ad approfondire ore tre macro tematiche attorno alle quali ha preso vita la discussione, per estendere il valore dell’evento anche a chi non è stato fisicamente presente.

Il content creator come professione

Studiare gli altri, osservare l’algoritmo, comprendere la propria community e interagire con essa, produrre di continuo nuovi racconti, anche quando non ci sono i brand a bussare alla porta. Abbiamo ribadito un concetto forse mai del tutto esplorato e fonte di molti pregiudizi: quello del content creator è una professione a tutti gli effetti!

I content creator utilizzano le loro abilità creative e le loro competenze tecniche per produrre contenuti di interesse, coinvolgenti e di alta qualità. Sono un editore di loro stessi, sono un media che deve essere sempre attivo, dove sono gli unici responsabili del palinsesto in onda.

Studiano i meccanismi che governano le piattaforme, tra algoritmi mutevoli e nuovi formati, osservano altri creator, sia “competitor” che non, per comprenderne gli aspetti vincenti e in qualche maniera da emulare. Interagiscono con la propria community e gestiscono le relazioni con aziende e agenzie, per finalizzare al meglio la monetizzazione della propria attività. Tutto questo richiede tempo, professionalità, creatività, pazienza e un continuo upskilling.

In primis il mantenimento della qualità di produzione e la frequenza di pubblicazione sono un must per salvaguardare la coerenza e la consistenza del proprio palinsesto, agli occhi della propria community e a quelli appunto degli algoritmi. Come accennato poc’anzi, proprio quello dell’algoritmo (e delle sue tecniche di “hacking”) è un tema sempre caldo, in quanto cambiano regole e formati che governano le piattaforme social, in particolare modo TikTok e Instagram, dove si concentra l’attività dei creator. 

Molto spesso si tratta di piccoli shift tecnico/tattici non sempre percepibili o conclamati, che permettono di dare una maggior “value” ai propri contenuti, incrementandone la diffusione organica. Questo può fare molto spesso una grande differenza in termini di successo e relativa monetizzazione.

Format globali, storie locali.

Torna in auge una dialettica da sempre dibattuta, quella del glocal, dove su piattaforme globali, generaliste e aperte a tutti, le tematiche, i protagonisti, il tone of voice e la lingua (o il dialetto), sono tutti declinati secondo un’accezione prettamente locale.

Restando per un attimo nella nostra zona geografica, gli stessi nostri ospiti Massimo Barco e Samantha Capuzzo ne sono un esempio, capaci di cogliere lo spirito di un territorio.

Questo macro trend non riguarda solo lo storytelling dei creator ma anche quello di numerosi editori, alla ricerca degli aspetti locali e della storie particolari e underground rispetto alle tradizionali narrative della “big city life”.

Padova Stories, raccontata dal suo founder Alessandro Pittoni, ne è un esempio: è un giornale online nato con un focus sullo storytelling territoriale e su tutto quello che è il mondo della valorizzazione del patrimonio culturale e artistico locale.

Molti editori vanno a cercare storie locali, accade a Padova ma può essere ovunque. Nella logica di saturazione nel mercato dell’intrattenimento, la mole di contenuti che ha sempre raccontato i grandi centri, ha creato un interesse ai contenuti di provincia, storie semplici in cui è facile immedesimarsi, “high concept” ma raccontati in un contesto nuovo. La città diventa contenuto, il territorio diventa contenuto, un creator naturale perché la storia ce l’hanno dentro.

Non a caso a breve una produzione Padova Stories sarà protagonista di una serie tv che andrà in onda su Sky a partire dal mese di ottobre

Qualche consiglio ai marketing manager in azienda e in agenzia

Le parole sono importanti, soprattutto quelle scritte in un brief. Non è sempre facile la gestione dei rapporti tra creator e brand, in una relazione in cui i primi vorrebbero monetizzare il potere della propria community e i secondi dare visibilità e valore immediato alle proposte dei propri prodotti o servizi.

Per un brand, occorre inserire un content creator, un influencer o un talent all’interno di una campagna, integrandolo in una azione di marketing mix coerente con i valori di marca, il target di riferimento e il tone of voice abituale. Si tratta di un attività importante ma che si inserisce all’interno di un ecosistema più ampio. 

L’errore di fondo in cui spesso i marketing manager cadono, è quello di non considerare il livello di “fit” tra target di mercato e community del creator, andando così a disperdere il messaggio e l’investimento su un pubblico non adatto.

Molto spesso infatti conviene non rivolgersi al creator con la fan base più nutrita quantitativamente se non c’è la giusta coerenza tra tutti gli elementi in campo. L’alternativa migliore molto spesso è quella di splittare l’investimento su più creator e più piccoli ma con delle community più reattive alle proposte che vengono veicolate.

Allo stesso modo i brand non devono forzare i format di successo dei creator che devono sì avere le indicazioni dettagliate sui desiderata dei loro committenti ma allo stesso modo devono essere liberi di muoversi, secondo quelle che sono le best practice che hanno sempre seguito. Chi meglio di loro può conoscere nel dettaglio ogni sfumatura dei propri canali e della community che li segue?

Ci sono state poi altre parentesi che si sono aperte e sfumature che abbiamo avuto il piacere di gustare dal vivo e, cosa che non guasta, ci siamo sicuramente divertiti. Vi diamo ora appuntamento, sempre live, con la seconda puntata di Talking Heads, dedicata all’ampio e variegato mondo del sound branding.

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