L’occhiale come status e identità: quando l’accessorio diventa icona culturale

Un tempo accessorio funzionale, oggi l’occhiale è diventato un simbolo culturale capace di raccontare identità, appartenenza e stile di vita. Nell’era digitale non è più soltanto cornice del volto, ma filtro narrativo che unisce reale e virtuale, moda e tecnologia, individualità e trend globali. Tra design, sostenibilità e contaminazioni urbane, l’eyewear si conferma uno dei codici visivi più potenti del presente, capace di plasmare estetiche e immaginari collettivi.

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07 September, 2025

Un tempo confinati al ruolo di accessorio funzionale, gli occhiali sono diventati uno dei dispositivi culturali più rilevanti del nostro tempo. Da strumento medico per correggere difetti visivi, oggi rappresentano status symbol, codice identitario e filtro narrativo della propria immagine
Ma non si tratta soltanto di moda: secondo l’OMS, oltre 2,2 miliardi di persone nel mondo hanno un problema visivo che richiede correzione ottica, rendendo l’occhiale non più un dettaglio opzionale ma un artefatto sociale di massa.

La trasformazione è stata amplificata dalla cultura digitale: nell’era dei selfie e degli avatar, la montatura non è più soltanto cornice del volto, è estensione della personalità, linguaggio visivo che integra reale e virtuale. 

In parallelo, l’industria eyewear ha conosciuto una crescita significativa: nel 2022 il mercato globale dell’occhialeria è stato stimato in 140 miliardi di dollari, con una proiezione che sfiora i 197 miliardi entro il 2027 – secondo Statista. Numeri che raccontano come gli occhiali siano ormai diventati piattaforme di design, innovazione tecnologica e costruzione dell’immaginario collettivo. 

Da “lenti da studio” a simbolo pop

La storia dell’occhiale non nasce come elemento estetico, ma come strumento di sopravvivenza intellettuale. 
Le prime testimonianze documentate risalgono al XIII secolo in Italia: tra Pisa e Venezia, artigiani del vetro svilupparono i primi rudimentali strumenti ottici destinati a monaci e studiosi, affinché potessero proseguire la lettura e la copiatura dei testi. Da oggetto elitario, riservato agli uomini di cultura, l’occhiale cominciò a diffondersi con l’invenzione della stampa e con la progressiva crescita dell’alfabetizzazione, assumendo il valore simbolico di accesso al sapere.

L’Ottocento segnò la svolta industriale: la produzione in serie abbatté i costi e trasformò l’occhiale in bene accessibile alle masse. Il Novecento, invece, lo consacrò come icona culturale: dalle montature tonde di John Lennon agli occhiali oversize di Jackie Kennedy, una semplice lente divenne codice visivo capace di definire interi immaginari collettivi.

La fase più recente è dominata dalle dinamiche globali: con la nascita di conglomerati come EssilorLuxottica, che oggi detiene oltre il 20% del mercato mondiale, il settore è passato da distretto artigianale a industria integrata, dove il branding e i contratti di licenza regolano estetica e distribuzione.

L’occhiale non è più soltanto supporto visivo, ma dispositivo semiotico: un segno identitario che accompagna ogni gesto di rappresentazione pubblica e privata.

Se la vista era un’esigenza, la visibilità è diventata il vero capitale contemporaneo, e l’occhiale uno dei suoi veicoli più evidenti.


Dallo streetwear all’eyewear: subculture e nuove estetiche urbane

Negli ultimi vent’anni l’occhialeria ha progressivamente assorbito le logiche dello streetwear, trasformandosi da segmento funzionale a piattaforma estetica capace di veicolare identità collettive. La dinamica è chiara: ciò che è avvenuto con la sneaker — da prodotto tecnico a simbolo culturale globale — si è replicato nell’eyewear, dove le estetiche urbane hanno ridisegnato codici e linguaggi. Marchi come Oakley, Gentle Monster e Retrosuperfuture hanno interpretato questa contaminazione con montature scultoree, forme bold, richiami all’immaginario Y2K e citazioni visive derivate da hip hop, club culture e design futuristico.


Il segmento fashion sunglasses domina il mercato 

Secondo Grand View Research, nel 2022 il segmento fashion sunglasses ha rappresentato oltre il 55% del mercato eyewear mondiale, trainato da collaborazioni con brand di moda e da una domanda sempre più legata a logiche di appartenenza estetica piuttosto che a necessità correttive. 

L’occhiale diventa così marker culturale: i modelli shield a mascherina dialogano con la scena techno e rave, le montature oversize in acetato vengono adottate dalla trap e dal rap, mentre i design minimalisti in metallo si inseriscono nell’universo creativo e indipendente.

Questa traslazione dall’uso funzionale alla codificazione simbolica conferma la natura ambivalente dell’eyewear: dispositivo industriale di massa, ma anche artefatto semiotico che veicola appartenenze e distinzioni. L’individuo crede di scegliere un modello per affermare la propria identità, ma di fatto opera entro uno spettro delimitato da trend globali, campagne di comunicazione e pressioni sociali. È qui che si gioca la tensione cruciale: fino a che punto l’occhiale è scelta estetica libera, e quando diventa sollecitazione culturale prodotta dal sistema moda?


Selfie culture e identità aumentata: l’occhiale come pre-filtro digitale

Nell’ecosistema visivo contemporaneo l’occhiale ha assunto un ruolo che va ben oltre il suo perimetro fisico. Con l’affermazione della selfie culture e delle piattaforme di condivisione visiva, dalla fotografia istantanea di Instagram ai format video di TikTok, la montatura è diventata parte integrante dell’identità digitale. Secondo Datareportal 2024, oltre il 91% degli utenti globali di internet produce e condivide contenuti visivi ogni settimana, rendendo la gestione della propria immagine un atto costante di auto-narrazione. In questo contesto, l’occhiale funziona come un “filtro reale” che precede quello digitale: un dispositivo che modella il volto prima ancora che venga mediato da algoritmi e piattaforme.

La dinamica si amplifica con la progressiva “avatarizzazione” dell’identità. Nei mondi virtuali e nel gaming, gli occhiali sono diventati accessori centrali dei personaggi digitali: basti osservare come Meta e Roblox abbiano stretto accordi con brand eyewear per portare collezioni reali nei cataloghi virtuali. L’occhiale non è più un semplice oggetto da indossare, ma un asset crossmediale, che funziona nello stesso tempo come segno distintivo offline e come “skin” per la rappresentazione online. Questa convergenza tra fisico e digitale rafforza il valore simbolico dell’eyewear: non si compra più soltanto un prodotto, ma un linguaggio visivo replicabile e condivisibile in più spazi di interazione.


Innovazione sostenibile con materiali bio-based 

L’occhialeria contemporanea non evolve solo sul piano estetico, ma anche su quello tecnologico e dei materiali. Negli ultimi anni il settore ha accelerato verso soluzioni bio-based e riciclabili, rispondendo alla crescente domanda di sostenibilità. EssilorLuxottica, ad esempio, ha introdotto collezioni in acetato bio-derivato, mentre Safilo ha avviato partnership con Eastman per l’utilizzo di materiali riciclati come il Tritan Renew. 
Il segmento eyewear sostenibile rappresenta una delle aree a maggiore crescita, sostenuta dalla spinta normativa e dalla sensibilità ambientale dei consumatori.

Parallelamente, si sviluppa il fronte delle lenti intelligenti e dei wearable device. Progetti come Ray-Ban Meta Smart Glasses integrano videocamera, altoparlanti e comandi vocali in un’estetica che mantiene il design tradizionale dell’occhiale. Anche player tech come Google e Amazon hanno sperimentato, con alterne fortune, dispositivi simili, segnando un percorso che unisce occhialeria e realtà aumentata.

Market forecast di Statista stimano che il mercato degli smart glasses raggiungerà un valore di oltre 12 miliardi di dollari entro il 2030, trainato da applicazioni in ambito AR/VR e dalla crescente convergenza tra moda e tecnologia.

Queste innovazioni rivelano come l’occhiale non sia più soltanto un supporto visivo o un simbolo di status, ma un’interfaccia tecnologica e sostenibile, in grado di fondere esigenze ambientali, estetiche e digitali. È qui che l’eyewear si trasforma da oggetto di design a infrastruttura culturale, capace di integrare performance, identità e innovazione.


Struttura economica dell’eyewear: concentrazione industriale, pesi geografici, scala dei player

Il settore dell’occhialeria è oggi una filiera globale fortemente concentrata, caratterizzata da un’integrazione verticale che unisce produzione di lenti, montature e retail. A guidare il mercato è EssilorLuxottica, che nel 2023 ha registrato ricavi pari a 25,4 miliardi di euro, con una crescita del +7,1% a cambi costanti. La società ha diviso i propri introiti quasi equamente tra Professional Solutions (12,2 miliardi) e Direct-to-Consumer (13,2 miliardi). 
Dal punto di vista geografico, il baricentro resta il Nord America, che da solo vale 11,6 miliardi, seguito da Europa, Medio Oriente e Africa con 9,2 miliardi, Asia-Pacifico con 3 miliardi e America Latina con 1,5 miliardi. 
Le aree più dinamiche sono state proprio Asia-Pacifico (+14,3%) e America Latina (+9,9%), mentre Nord America (+4,2%) ed Europa, Medio Oriente e Africa (+8,2%) hanno mostrato crescite più moderate.
Il Nord America continua a pesare per oltre un terzo del mercato mondiale dell’eyewear, mentre gli Stati Uniti rappresentano un giro d’affari di circa 38 miliardi di dollaricon previsioni di crescita a un CAGR del 7,4% tra il 2024 e il 2030. I driver strutturali rimangono chiari: l’invecchiamento demografico, l’aumento della miopia e la trasformazione del canale di vendita. L’e-commerce cresce a ritmi accelerati, ma i grandi gruppi continuano a consolidare il valore attraverso reti ottiche integrate e format monomarca, in grado di legare esperienza fisica e racconto di brand.

Lozza: il brand di occhiali più antico d’Italia

Fondato nel 1878 da Giovanni Lozza in Cadore, Lozza è il marchio di occhiali più antico d’Italia. Nel 2021 ha ottenuto l’iscrizione nel registro dei Marchi Storici di Interesse Nazionale, a riconoscimento della sua rilevanza culturale e industriale. Dal 1983 appartiene al Gruppo De Rigo, che ne ha garantito la continuità produttiva e il rilancio internazionale, preservando l’identità originaria e inserendola in un sistema industriale e distributivo globale.

La storia del brand si è intrecciata con l’evoluzione del design italiano: modelli come Zilo, Macho e Cooper, nati rispettivamente negli anni Quaranta, Settanta e Ottanta, sono diventati icone di stile, reinterpretate nel tempo senza tradire l’essenza del marchio.

Lozza ha sempre mantenuto una tensione costante tra memoria e innovazione, trasformando il proprio archivio in un laboratorio creativo capace di dialogare con le nuove generazioni senza perdere l’eleganza classica che lo contraddistingue.

Su questo equilibrio si fonda anche la sua strategia contemporanea di comunicazione seguita proprio da NOOO.
Il recente progetto di social media marketing ha puntato a valorizzare il design senza tempo attraverso contenuti visivi di alto profilo, raccontando la storia del marchio con un linguaggio creativo coerente e capace di evidenziare il pregio del made in Italy. Nel 2023, con il lancio del nuovo sito web, Lozza ha consolidato questa traiettoria: la piattaforma digitale è stata pensata per dare massimo risalto al design e ai dettagli dei prodotti, con shooting ambientati in scenari simbolici come Verona, il Lago di Garda, Bergamo, Piacenza e Bologna, a sottolineare il legame tra territorio, tradizione e contemporaneità.
Lozza non è dunque soltanto un marchio storico, ma un interprete di lungo corso dell’identità visiva italiana, capace di unire patrimonio culturale e tensione verso il futuro.


Occhiali iconici: quando una montatura diventa mito

L’occhiale è spesso passato dalla dimensione funzionale a quella iconica grazie al volto di chi lo ha indossato. Negli anni Sessanta, Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany rese immortali gli occhiali oversize di Oliver Goldsmith, trasformandoli in simbolo di eleganza cosmopolita. Negli anni Settanta, John Lennon con le sue montature tonde creò un’estetica immediatamente riconoscibile, tanto che ancora oggi il modello “teashade” è associato alla sua figura. All’opposto, il futurismo degli Oakley Eyeshade lanciati negli anni Ottanta si legò all’immaginario sportivo e street, anticipando la contaminazione tra performance e moda.

Alcune montature sono diventate veri strumenti di potere comunicativo. Negli anni Novanta, i Ray-Ban Wayfarer tornarono a dominare grazie a film come Blues Brothers e Men in Black, che ne consacrarono la valenza di status ribelle e istituzionale allo stesso tempo.

Esistono anche casi curiosi e controversi. Gli occhiali tondi di Mahatma Gandhi sono stati battuti all’asta da East Bristol Auctions nel 2020 per oltre 260.000 sterline, dimostrando come una semplice montatura possa caricarsi di valore simbolico e storico inestimabile.


Questi esempi mostrano come l’occhiale, lungi dall’essere un dettaglio, diventi spesso la chiave visiva con cui ricordiamo un’icona culturale. Un oggetto che, indossato da una star o inserito in una narrazione, smette di essere accessorio per farsi simbolo.

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