Articolo di Ilaria De Togni
A metà di questo 2025 si impone una riflessione: quali traiettorie stanno realmente segnando l’evoluzione dei social media? La risposta non è lineare, ma intrecciata con il ritmo vorticoso della cultura digitale. Essere presenti non basta più: occorre muoversi con prontezza, cogliere l’attimo, sperimentare senza perdere consistenza.
La cultura del “vibe”
Oggi i brand stiano utilizzando Threads e X non tanto come semplici vetrine promozionali, quanto come spazi laboratoriali dove mettere alla prova registri linguistici nuovi: ironia, immediatezza, imperfezione. L’assenza di linee guida codificate ha reso questi ambienti terreno fertile per una comunicazione meno levigata e più istintiva. Qui l’autenticità diventa moneta corrente, e il messaggio, liberato da eccessivi filtri, entra in sintonia con le aspettative di un pubblico che chiede verità, non slogan.
Il consumo di trend effimeri sta così lasciando spazio a un fenomeno diverso: la cultura del “vibe”, ovvero la costruzione di atmosfere e stati d’animo collettivi che resistono nel tempo.
Non più semplici fiammate virali, ma correnti emotive capaci di sedimentarsi.
I marketer, consapevoli di questa svolta, stanno ricalibrando le strategie: non basta più cavalcare l’onda di un tormentone, occorre interpretare l’energia sotterranea che muove le comunità digitali. Grazie a AI e social listening avanzato, oggi è possibile leggere non solo il sentiment, ma la temperatura emozionale, i ritmi e i codici che danno vita a un’esperienza condivisa e duratura.

AI e trasparenza radicale
I professionisti del marketing non si limitano più a utilizzare l’AI in silenzio, come se fosse un espediente da occultare, ma scelgono la via della trasparenza.
Se l’intelligenza artificiale è indiscutibilmente la protagonista del 2025, il vero cambio di paradigma risiede in un gesto apparentemente semplice: condividere i prompt. I professionisti del marketing non si limitano più a utilizzare l’AI in silenzio, come se fosse un espediente da occultare, ma scelgono la via della trasparenza. Mostrano pubblicamente i processi, insegnano, svelano i retroscena. Questo nuovo atteggiamento non solo alimenta una cultura della condivisione, ma contribuisce a ridefinire il concetto stesso di creatività, trasformando l’AI da “strumento” a linguaggio collettivo.
Discontinuità creativa
Le cifre parlano chiaro. Oltre il 60% dei contenuti social prodotti dalle organizzazioni ha come obiettivo principale intrattenere, educare o informare, senza alcun intento promozionale diretto. Per quasi la metà dei brand, dunque, i social non sono più vetrina commerciale, ma un palcoscenico dove coltivare attenzione e fiducia attraverso valore culturale ed esperienziale.
E non è tutto: secondo l’Hootsuite Social Media Trends 2025 Survey, per circa un quarto delle aziende, la quota di contenuti a vocazione puramente intrattenitiva oscilla tra l’80% e il 100%. Significa che, per alcuni player, l’intrattenimento non è un complemento, ma il cuore stesso della loro strategia digitale.
The Creative Disruption Trend
Le piattaforme social hanno aperto spazi creativi inediti, e i team più audaci ne stanno approfittando per scardinare la rigidità dei manuali di marketing tradizionali.
La coerenza di brand, un tempo dogma intoccabile, oggi viene accantonata a favore della sperimentazione. Il risultato? Un linguaggio più libero, sorprendente, spesso lontano dall’immagine ufficiale veicolata su altri canali.
Questo scarto non solo viene tollerato, ma premiato. I brand che osano sono celebrati dal pubblico e, soprattutto, ottengono risultati concreti. I marketer che pubblicano regolarmente contenuti creativi dichiarano infatti un impatto “molto positivo” sul business in misura nettamente superiore rispetto a chi mantiene un approccio più tradizionale.
In fondo, i social rappresentano il terreno ideale per spingersi oltre: un laboratorio dove anche i marchi più istituzionali possono concedersi leggerezza, ironia, gioco. Nei prossimi anni assisteremo sempre più a organizzazioni disposte a varcare questa soglia, esplorando territori espressivi fuori dalle linee guida per conquistare e divertire le proprie community.

The Outbound Engagement Trend: entrare nei commenti per conquistare nuove audience
Oggi basta scorrere la sezione commenti di un qualsiasi post per accorgersi che, accanto alle voci degli utenti, compaiono spesso anche quelle dei brand. Si tratta di outbound engagements, ovvero interventi strategici nei contenuti di altri, destinati a crescere come pratica consolidata nei prossimi anni.
La tendenza è chiara: il 41% delle organizzazioni ha già iniziato a sperimentare forme di ingaggio proattivo, e i risultati premiano chi sa muoversi con intelligenza. Quando il creator originale risponde al commento di un brand, l’engagement cresce di 1,6 volte. In altre parole, la replica non solo amplifica la visibilità, ma certifica la legittimità del marchio come interlocutore riconosciuto dalla community.
Ma attenzione: apparire nei commenti non è un gioco di improvvisazione. Come ogni attività social, richiede strategia. Due sono i fattori decisivi: tempismo e lunghezza del messaggio. Commentare un post oltre le 24 ore dalla pubblicazione riduce drasticamente le possibilità di essere notati. E la misura ideale del testo? Tra 10 e 99 caratteri: brevi, incisivi, ma non banali. Commenti più lunghi, o al contrario ridotti a un’emoji, rischiano di essere ignorati.
C’è poi un ulteriore aspetto: man mano che questa pratica si diffonde, i creator diventano più selettivi. Accettare il commento di un brand significa esporsi, e i profili più seguiti evitano collaborazioni che possano minare la propria autenticità. Per questo, i marchi che vorranno davvero distinguersi nel prossimo futuro, dovranno andare oltre la semplice “comparsa nei commenti”, costruendo relazioni autentiche e di lungo periodo con i creator e con le loro community.
Social Listening Trends
Per anni il social media marketing ha vissuto un paradosso: pur essendo onnipresente, è sempre stato difficile dimostrare in modo inequivocabile il suo ritorno sugli investimenti. A differenza del performance marketing, dove la connessione con i ricavi è immediata e tracciabile, i social venivano spesso valutati sulla base di “vanity metrics” come like, condivisioni o nuovi follower. Indicatori utili, certo, ma incapaci di convincere davvero i vertici aziendali.
Oggi il quadro è diverso. Sempre più professionisti del digitale dichiarano di sentirsi sicuri nel dimostrare il ROI delle loro attività, e il motivo non è l’ossessione per i numeri superficiali, bensì l’adozione di un approccio specifico: il social listening.
Il social listening è la pratica di monitorare in tempo reale conversazioni, menzioni e sentimenti espressi online riguardo a un brand, un settore o un tema specifico. Non si limita a contare like o commenti, ma analizza cosa dicono le persone, come lo dicono e con quale tono emotivo, trasformando queste informazioni in insight utili per capire meglio il pubblico, individuare trend culturali, prevenire crisi reputazionali, orientare strategie di marketing e sviluppo prodotto.
I dati del Social Listening
Secondo i dati Hootsuite Social Media Trends 2025 Survey, il 62% dei social marketer utilizza strumenti di social listening e le aziende che integrano questa pratica mostrano livelli di fiducia nel ROI nettamente superiori rispetto a quelle che non la utilizzano.
Su LinkedIn, il 76% di chi ascolta si dice certo del ritorno sull’investimento, contro il 71% di chi non lo fa.
Su Instagram, la fiducia resta al 76% tra gli ascoltatori, ma cala al 63% tra i non-ascoltatori.
Su Facebook, il gap si allarga: 67% contro il 59%.
Su TikTok e Reddit le differenze restano marcate: 63% vs 52% per TikTok e 56% vs 52% per Reddit.
Anche su YouTube il vantaggio è tangibile: 53% contro 50%.
Su piattaforme più giovani o meno consolidate come X e Threads, la forbice diventa drastica: 38% vs 27% e 30% vs 16%.
La conclusione è chiara: il social listening rafforza la sicurezza con cui i marketer riescono a dimostrare l’efficacia dei loro sforzi, trasformandosi in un alleato strategico.

Micro-Virality Trend
Un tempo, la formula del successo digitale sembrava ridursi a una sola ossessione: “andare virali”. Nel 2024, però, questo mito ha iniziato a incrinarsi. Secondo Talkwalker, su oltre 1,1 milioni di menzioni analizzate, il sentiment attorno al concetto di viralità è diventato via via più negativo. I dati rivelano come le conversazioni legate al “going viral” abbiano spesso assunto connotazioni critiche o apertamente ostili, con picchi di percezione negativa registrati ad aprile e agosto 2024.
Il motivo è semplice: inseguire momenti casuali di popolarità effimera non solo è inefficace, ma spesso appare forzato e poco autentico. E nulla uccide un trend più rapidamente dell’assalto massivo dei brand che lo cavalcano tutti insieme.
C’è però una differenza sostanziale tra rincorrere la viralità e intercettare con intelligenza i trend culturali che fanno pulsare la rete. I consumatori apprezzano quando i brand sanno inserirsi in modo misurato nei momenti social, perché questo rafforza il senso di connessione culturale.
Non si tratta solo di riconoscere cosa è di tendenza, ma di capire se quel trend risuona davvero con la propria audience, quale sentimento suscita, se è già al tramonto o se conserva ancora potenziale. È un’abilità che distingue chi si limita a osservare da chi sa tradurre i segnali digitali in scelte strategiche.
I marchi più accorti non inseguiranno più la viralità globale e indistinta, ma punteranno a una micro-viralità mirata, calibrata sul proprio pubblico. Meno operazioni di “piggybacking” cieco sui tormentoni mainstream, più capacità di ascoltare, selezionare e agire con precisione chirurgica.
AI Content Trend
Solo un anno fa i social marketer cominciavano timidamente a sperimentare strumenti come ChatGPT e poche altre piattaforme di AI generativa, spesso con il freno a mano tirato dalle policy aziendali. In parallelo, serpeggiava il timore: “e se l’AI togliesse spazio al mio ruolo?”.
Oggi lo scenario è radicalmente cambiato. L’intelligenza artificiale non è più percepita come minaccia, ma come risorsa strategica, e il 69% dei marketer riconosce che l’AI può generare nuove opportunità di lavoro. Non a caso, l’utilizzo di AI per la creazione di contenuti social è cresciuto in modo vertiginoso tra il 2023 e il 2024:
+19% per l’editing e la rifinitura di testi (dal 67% all’80%), +17% per la produzione di testi da zero (dal 66% al 77%), +95% per la revisione completa e la riscrittura di testi (dal 37% al 72%), +25% per lo sviluppo di nuove idee (dal 56% al 70%), +180% per l’editing e la modifica di immagini (dal 15% al 42%), +86% per la generazione ex novo di immagini (dal 22% al 41%).
Questa accelerazione è alimentata dall’inesauribile fabbisogno dei social: un flusso continuo di contenuti, aggiornamenti e creatività. Non stupisce quindi che l’83% dei marketer dichiari che l’AI consente loro di produrre molto più contenuto di quanto potrebbero senza.
AI Strategy Trend
Se l’AI ha già trasformato la produzione dei contenuti, la sua influenza non si ferma qui: è ormai arrivata ai vertici delle decisioni strategiche. Più dei tre quarti dei professionisti incaricati della definizione delle strategie social — soprattutto executive di livello C e VP — dichiarano di usare regolarmente strumenti di AI per supportare le proprie attività. E, fatto sorprendente, li utilizzano più di chi si occupa dell’esecuzione operativa.
I dati mostrano infatti un utilizzo molto elevato dell’AI anche da parte di chi definisce le linee guida e il 73% per lo sviluppo di nuove idee.
Una tendenza resa possibile dall’adozione rapidissima delle funzionalità AI integrate negli strumenti di analytics, campaign management, brand forecasting. Oggi l’AI è in grado persino di generare executive summary, alleggerendo l’agenda di meeting infiniti.
In altre parole, l’AI non è più soltanto un alleato per la produttività: è diventata il “thought partner” che i social marketer non sapevano di desiderare. Non a caso quasi la metà dei leader di marketing ha già investito in strumenti di AI per i propri team.
Emerge un dato chiave: le organizzazioni che adottano più velocemente l’AI — non solo come strumento creativo, ma come supporto strategico — sono le stesse che aggiornano con maggiore frequenza le loro strategie. Segno che l’agilità e l’intelligenza artificiale viaggiano insieme.