C’è una nuova grammatica dell’abitare che si sta diffondendo nei tessuti urbani, intercettando le esigenze ibride, flessibili e iper-funzionali di una generazione che ha disimparato a considerare la casa come luogo di stabilità.
La Gen Z – cioè chi è nato tra il 1997 e il 2012 – non cerca più l’appartamento spazioso, né il sogno borghese del mutuo trentennale: predilige soluzioni temporanee, modulari, digitalmente connesse, dove la sostenibilità ambientale conta quanto l’estetica e l’interoperabilità tra spazio privato e spazio condiviso.
È una visione che non si limita a ridefinire il concetto di abitare, ma sta riscrivendo le regole stesse del mercato immobiliare: spingendo investitori, progettisti e costruttori a reinventare modelli, materiali, localizzazioni e strategie di valore. Scopriamo insieme perché – e come – tutto questo sta accadendo.
La ridefinizione post-pandemica del concetto di casa
Le micro house gli arredi multifunzionali, e soluzioni in co-living non sono più scelte singolari, ma risposte concrete e diffuse a una domanda abitativa in profonda trasformazione. A guidare questa metamorfosi non è un capriccio estetico, ma un insieme di fattori strutturali: la crescente instabilità economica, la crisi immobiliare urbana, la necessità di sostenibilità ambientale, e soprattutto la ridefinizione post-pandemica del concetto di casa.
Uno studio McKinsey del 2023 rileva che oltre il 60% dei giovani lavoratori tra i 20 e i 35 anni predilige abitazioni flessibili, connesse, facilmente riadattabili e spesso di dimensioni contenute.
Il report Emerging Trends in Real Estate 2025 di PwC e Urban Land Institute conferma la stessa tendenza dal lato dell’offerta: gli sviluppatori stanno puntando su unità residenziali modulari, reversibili, a basso impatto ambientale, spesso collegate a formule di affitto temporaneo o rotativo.
In questo contesto, l’architettura del vivere si piega a nuove logiche sociali e casa non è più un luogo da possedere, ma un sistema abitativo da attraversare, personalizzare e, all’occorrenza, sostituire con facilità.

Abitare il presente
Il micro-living è la risposta funzionale ed estetica a un mondo in cui l’abitare tradizionale è spesso diventato insostenibile, economicamente e simbolicamente. Per la Generazione Z – la prima ad aver vissuto crisi climatica, pandemia e inflazione immobiliare prima dei trent’anni – la casa non è più status o radice, ma modulo mobile, spazio-risorsa, strategia di sopravvivenza urbana.
Il micro-living definisce abitazioni che raramente superano i 30-40 m², progettate per massimizzare l’efficienza attraverso elementi modulari, domotica integrata e una logica di multifunzionalità radicale.
Nato in Asia come risposta alla densità estrema, esploso negli Stati Uniti come controcultura urbana,oggi questo modello si consolida anche in Europa, trainato dall’aumento delle famiglie unipersonali e dalla crescita di una popolazione urbana giovane, mobile, transitoria.
Micrometrie e macro scenari
La domanda di micro-alloggi è destinata ad aumentare sensibilmente nei centri metropolitani italiani, alimentata dall’arrivo di studenti internazionali, lavoratori temporanei e nomadi digitali. L’ONU stima che entro il 2050 oltre il 60% della popolazione mondiale vivrà in aree urbane, in contesti dove lo spazio è una risorsa rara, il suolo edificabile sempre più scarso, e l’abitare diventa una sfida di ingegneria sociale.
Per la Gen Z, il micro-living offre una soluzione concreta a questo problema: abitazioni temporanee, estetiche ma accessibili, capaci di dialogare con le nuove esigenze di flessibilità lavorativa e intermittenza relazionale. Non è solo un trend architettonico, ma una trasformazione socioeconomica in corso: in Italia, il Decreto Salva-Casa (2024) ha ridotto la superficie minima abitabile da 28 a 20 m² e l’altezza minima dei soffitti a 2,40 m, aprendo legalmente alla realizzazione di micro-unità anche nei grandi centri storici.
Non tutti possono vivere in 22 metri quadri. Ma chi può – e sa come – li abita come hub esistenziale, interfaccia tra vita privata e mondo connesso. Per i giovani, è meno importante possedere un luogo che poterlo navigare.

Come le preferenze della Gen Z stanno trasformando il mercato immobiliare
Non possedere, ma abitare. Non accumulare, ma connettere. Per la Generazione Z, il concetto stesso di “casa” si sta smaterializzando in favore di uno spazio funzionale, tecnologicamente integrato e in armonia con i valori ambientali. È un cambio di paradigma che sta riscrivendo le priorità del settore immobiliare urbano: dal possesso all’esperienza, dalla permanenza alla mobilità, dalla metratura alla multifunzionalità.
E il mercato immobiliare lo ha capito.
Sviluppatori, investitori e operatori del settore stanno ripensando prodotti e strategie per rispondere alle esigenze di una generazione che rifiuta il modello abitativo tradizionale. A differenza dei Baby Boomer, e persino dei Millennial, la Gen Z attribuisce scarso valore simbolico alla proprietà.
Non si tratta solo di spazi più piccoli, ma di abitazioni progettate per adattarsi a ritmi di vita mutevoli, spesso costruite attorno a principi di condivisione, connessione e benessere. L’esperienza abitativa si fonde con le dinamiche lavorative e sociali: serve una casa che sia hub, rifugio, nodo relazionale. La Gen Z cerca ambienti che integrino libertà personale e senso di comunità, senza sacrificare l’accessibilità economica.
Per l’intero comparto immobiliare, comprendere questa domanda emergente non è più opzionale. È la chiave per intercettare un pubblico che pone l’accento sull’equilibrio tra funzione e scopo, tra spazio fisico e identità personale.
La sostenibilità come precondizione abitativa
Per la Generazione Z, la sostenibilità non è un’opzione accessoria ma un principio identitario. Cresciuti nell’epoca dell’emergenza climatica e dell’attivismo ambientale, questi giovani integrano la responsabilità ecologica in ogni scelta, inclusa quella abitativa. Efficienza energetica, materiali ecocompatibili, impianti fotovoltaici e trasparenza ambientale sono criteri minimi nella selezione di una casa. L’attenzione si estende anche all’intero ciclo produttivo dell’edificio: progettisti, costruttori e gestori immobiliari sono chiamati a dimostrare un impegno concreto in pratiche low impact.
Secondo PwC e ULI, gli immobili con certificazioni ambientali sono percepiti come più affidabili, durevoli e coerenti con i valori emergenti del mercato residenziale. Allinearsi a questi standard, ormai codificati in direttive europee e strategie ESG, non significa soltanto rispondere alla Gen Z, ma anticipare l’evoluzione strutturale dell’intero comparto immobiliare.
Tecnologia: da optional a standard abitativo
Per la Gen Z, nativi digitali e cittadini connessi, la tecnologia non è un lusso ma una condizione di base. Non si tratta solo di wi-fi veloce, ma di un vero e proprio ecosistema domotico capace di ottimizzare comfort, sicurezza e consumo energetico. Abitazioni dotate di termostati intelligenti, controllo remoto dell’illuminazione, assistenti vocali e elettrodomestici smart rispondono a un’esigenza quotidiana più che a una suggestione futuristica.
Diversi studi e ricerche rilevano che per le generazioni under 35 l’integrazione tecnologica è uno dei principali fattori decisionali nella scelta dell’alloggio, in particolare nei contesti urbani ad alta densità. Per i developer, questo implica una ridefinizione degli standard costruttivi: la smart home non è più un “plus” da brochure, ma una componente strategica della value proposition.
L’ubicazione come dichiarazione culturale
La posizione conta, ma cambia rispetto al passato. Mentre le generazioni precedenti puntavano alla casa nei sobborghi, la Gen Z cerca densità relazionale, connessione fisica e digitale, e accesso facilitato a trasporti pubblici, luoghi di lavoro, cultura, sport e socialità. La prossimità a hub universitari, coworking, start-up district e nodi intermodali è spesso più importante della metratura o del numero di stanze.
L’accessibilità urbana diventa così un valore abitativo autonomo. I quartieri misti, ben collegati e infrastrutturati, attirano una popolazione giovane che rifiuta l’automobile e privilegia la mobilità leggera, condivisa e sostenibile. Per il settore, questo impone una ricalibratura delle strategie di localizzazione: l’ubicazione di un edificio non è solo un dato tecnico, ma una leva culturale e simbolica.
Cinque azioni chiave per rispondere alla domanda abitativa della Gen Z
Per rispondere in modo concreto alla domanda abitativa della Generazione Z, il settore immobiliare è chiamato a riorientare con decisione le proprie priorità operative e progettuali, articolando l’offerta attorno a cinque direttrici chiare e imprescindibili.
La prima è la sostenibilità progettuale: costruire green non significa solo aderire a standard normativi, ma integrare materiali riciclati, tecnologie a basso impatto, tetti verdi, strategie bioclimatiche e sistemi energetici efficienti fin dalla fase di concezione dell’edificio.
La seconda è la flessibilità spaziale: gli ambienti devono adattarsi a funzioni diverse nell’arco della giornata e della vita dell’inquilino. Layout trasformabili, spazi modulari, arredi mobili e multifunzionali sono oggi elementi centrali di un’abitazione capace di rispecchiare la fluidità dell’esperienza contemporanea.
Segue poi la dimensione della integrazione tecnologica. Per la Gen Z, una casa priva di domotica, connessione ultraveloce o dispositivi intelligenti non è semplicemente obsoleta: è irrilevante. Sistemi smart per la gestione della luce, del clima, della sicurezza e dei consumi non sono più extra, ma criteri decisionali fondamentali.
La quarta direttrice è la localizzazione strategica. Le nuove generazioni privilegiano aree urbane o semiurbane ben servite, connessi da trasporti pubblici, vicine a spazi di coworking, poli culturali e servizi essenziali. Investire in quartieri dinamici, densi di opportunità e facilmente attraversabili è oggi un vantaggio competitivo.
Infine, diventa cruciale la progettazione relazionale. La casa deve includere spazi comuni pensati per favorire la socialità e il senso di appartenenza: lounge, cucine condivise, giardini interni, coworking e aree eventi. Per la Gen Z, la dimensione abitativa non è mai solo individuale: è connessione, scambio, comunità. E ogni progetto che voglia intercettarla deve cominciare proprio da qui.