Estetica del cibo: l’evoluzione da “foodporn” a contenuto culturale e identitario

Nell’arco di due decenni, il cibo è passato dall’essere oggetto di consumo a soggetto narrativo, visuale e simbolico.

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14 August, 2025

Cosa dice di noi l’immagine di un piatto? Molto più di quanto siamo disposti ad ammettere. Nell’arco di due decenni, il cibo è passato dall’essere oggetto di consumo a soggetto narrativo, visuale e simbolico. Non si tratta più solo di mostrare qualcosa di bello: oggi, “mostrare il cibo” significa prendere una posizione, raccontare un’identità, dichiarare un valore. È una trasformazione estetica che coincide con una mutazione culturale profonda, in cui l’immagine del cibo ha acquisito autonomia, diventando contenuto, linguaggio e segno sociale.

Quando l’immagine del cibo ha smesso di parlare di gusto e ha iniziato a parlare di noi?

Nato come fenomeno seduttivo e provocatorio, il cosiddetto foodporn – l’estetica ipersaturata, lussuriosa, spesso eccessiva del cibo – ha dominato Instagram per oltre un decennio. Secondo i dati raccolti da Statista, nel 2023 l’hashtag #food ha superato i 450 milioni di post, mentre su TikTok il tag #FoodTok ha raggiunto oltre 170 miliardi di visualizzazioni. Ma oggi lo schema è cambiato: l’immagine del cibo non serve più soltanto a stimolare l’appetito o a generare like, ma a comunicare un sistema di valori.

Minimalismo, sostenibilità, storytelling territoriale, etica della produzione, estetica povera, glitch, ironia: sono questi i nuovi codici visuali della cultura alimentare 2.0.

Se è vero che l’occhio vuole la sua parte, oggi vuole molto di più: vuole significato. Come siamo passati da piatti lucidi e colanti di glassa a stoviglie spaiate e luce naturale? E cosa ci raccontano queste immagini sul nostro modo di mangiare, di rappresentarci e di stare al mondo?

Dalla cucina in TV a Instagram: nascita di un linguaggio estetico

L’estetica del cibo come fenomeno di massa inizia molto prima dell’era social. Le sue radici vanno ricercate nella televisione generalista degli anni ’80 e ’90, quando i primi programmi di cucina – da La Prova del Cuoco in Italia a Ready Steady Cook nel Regno Unito – cominciano a trasformare lo chef da figura tecnica a personaggio. Il cibo smette di essere un semplice prodotto della tradizione domestica per diventare “spettacolo”.

Il passo successivo è l’ingresso della cucina spettacolarizzata nella cultura popolare, culminato con il fenomeno MasterChef, trasmesso in oltre 60 Paesi e capace di generare un’estetica competitiva e performativa della preparazione culinaria. Ma è con l’arrivo di Instagram nel 2010 che l’immagine del cibo diventa realmente linguaggio sociale. L’ossessione per la composizione, per la saturazione dei colori, per la geometria del piatto e per la luce perfetta dà origine a una grammatica visiva ben codificata: nasce il foodporn, termine coniato nel 2004 ma diventato virale grazie ai social.

Su Instagram, hashtag come #instafood e #foodporn raggiungono rapidamente centinaia di milioni di utilizzi, guidando una nuova estetica globale, iperstimolante e aspirazionale. Un’immagine di successo che non descrive più cosa si mangia, ma come si desidera apparire.

Questa fase ha sancito il passaggio dalla cucina come gesto quotidiano alla cucina come forma di branding personale. L’immagine del cibo, ormai autonomizzata, ha iniziato a vivere una vita propria, sganciandosi sempre più dall’esperienza reale del gusto.

La mutazione estetica del cibo su TikToK

Con l’ascesa di TikTok, l’estetica del cibo ha subito una nuova metamorfosi. Abbandonata l’iconografia statica e patinata di Instagram, i contenuti alimentari si sono adattati al linguaggio iperveloce, audiovisivo e immersivo del formato short-form video. La parola chiave non è più perfezione, ma verosimiglianza curata: riprese in cucina “sporca”, stoviglie comuni, gesti imperfetti ma autentici, tutto girato in prima persona, spesso con voce narrante fuori campo. Il piatto finale è meno importante del processo, e l’estetica diventa narrativa.

I nuovi food creator: estetica, linguaggi e strategie su TikTok

Uno dei fenomeni più emblematici è quello di B. Dylan Hollis, creator statunitense che rielabora ricette vintage in chiave comico-educativa. Con quasi 11 milioni di follower e oltre 250 milioni di like ha costruito la propria autorevolezza su un linguaggio che mescola cucina reale, estetica retrò e ironia analogica.

Altro esempio è Emily Mariko, influencer statunitense diventata virale con i suoi video minimalisti di meal prep, dove la cura visiva è estrema ma mai artificiosa. I suoi contenuti superano le 100 milioni di visualizzazioni per singolo video, con piatti come il salmon rice bowl diventati trend globali.

Anche in Italia il fenomeno è evidente. Alessandro Vitale, alias @_SpicyMoustache_ ha portato il suo orto urbano e le sue ricette low cost a oltre 2,6 milioni di follower su TikTok, trasformando pomodori e colture domestiche in contenuto estetico sostenibile e narrativo. La chiave è la relazione tra gesto, contesto e racconto, non più la mera composizione estetica del piatto.

@spicymoustache

With just a few simple steps, you can turn fresh grapes into sweet, homemade raisins 🍇 📝 Ingredients (makes ~20–25 small clusters)🍫🍇 * 500 g fresh seedless grapes
(yields ~150–200 g raisins once dehydrated) * 150 g dark chocolate, no sugar added
(70% or higher cacao content recommended) * ½ tsp flaky sea salt (optional, for topping) 🍇 Steps 1. Wash and remove all stems from your seedless grapes.
– If using grapes with seeds, remove them manually before continuing. 2. Blanch grapes for 1 minute in boiling water. 3. Transfer immediately to an ice bath to stop the cooking. 4. Dry the grapes thoroughly with a clean towel. 5. Spread the grapes in a single layer on dehydrator trays. 6. Set your dehydrator to 57°C (135°F). 7. Dry for 24 to 36 hours, or until the grapes are chewy, slightly sticky, and soft. 8. Let cool completely before coating in chocolate. 9. Melt 150 g dark chocolate in a double boiler over low heat, stirring occasionally. 10. Add the raisins and mix until evenly coated. 11. Using a spoon, scoop small teaspoon-sized clusters onto a parchment-lined tray. 12. Sprinkle each cluster with a pinch of flaky sea salt while still warm (optional). 13. Refrigerate the tray for 15–20 minutes or until the chocolate has set. 14. Store clusters in an airtight container in the fridge for up to 2 weeks if they last 😏 NOTE: you can use an oven at the lowest setting or sun dry the grapes for a few days. HASHTAGS: #raisins #grapes #homemadefood #easyrecipes #foodtok #fyp

♬ original sound – SpicyMoustache

La nuova estetica del cibo su TikTok si basa dunque su un compromesso: il contenuto deve sembrare autentico, ma è costruito con precisione registica e strategia narrativa. Non si cerca più il piatto perfetto, ma una sceneggiatura visiva che convinca e coinvolga. E il cibo deve essere coerente, personale, emotivo.

Food influencer italiani: classificazione tematica tra intrattenimento, educazione e brand content

Anche la galassia dei food influencer italiani si è espansa in modo esponenziale negli ultimi cinque anni, spostandosi progressivamente dal piano estetico puro al piano contenutistico e valoriale. Se in passato dominavano le immagini perfette dei piatti serviti nei ristoranti stellati, oggi si affermano creator con approcci narrativi e visivi ben differenziati. È possibile distinguere tre macro-categorie: intrattenitori culinari, educatori gastronomici e ibridi brand-oriented.

Nel primo gruppo rientrano profili come Chef Ruben Bondì (@cucinaconruben), romano, ex cuoco nei villaggi turistici e ora star social con oltre 2,5 milioni di follower su TikTok e 1,9M su Instagram. La sua cifra estetica è una cucina “di strada” filmata dal balcone di casa, con un linguaggio diretto, una regia fissa e un impianto volutamente domestico. Non cerca “l’effetto wow”, ma la prossimità con lo spettatore, unendo ironia e accessibilità.

Sul fronte educativo spiccano profili come quello di Marco Bianchi, nutrizionista, divulgatore scientifico e cuoco (@marco.bianchi.official), noto per promuovere stili di vita sani e piatti equilibrati. Laureato in Scienze dell’Alimentazione, utilizza le proprie credenziali per pubblicare contenuti visivi raffinati e informati: infografiche nutrizionali, preparazioni salutari e focus sulla stagionalità. Le immagini dei suoi piatti non solo appagano l’occhio, ma accompagnano sempre uno storytelling educativo, fondato su dati reali (es. valori calorici, benefici degli ingredienti). Collabora con istituzioni sanitarie e partecipa regolarmente a programmi televisivi ed eventi scientifici.

Nella categoria ibrida, che combina storytelling personale e strategie di brand, troviamo creator come Stefano Cavada (@stefanocavada), bolzanino, autore di libri e format TV, che unisce estetica curata, ricette alpine e contenuti sponsorizzati con brand premium. La qualità visiva de i suoi contenuti – sempre girati con luce naturale e impianto narrativo lineare – lo posiziona tra i creator italiani più apprezzati per autenticità e coerenza.

Questa diversificazione di linguaggi riflette una tendenza più ampia: la fine del foodporn omologante e l’ingresso di estetiche più personali, funzionali e tematiche. L’immagine del cibo diventa così un medium fluido, adattabile a finalità editoriali, commerciali o educative, purché mantenga una riconoscibilità stilistica coerente con il tono della voce del creator.

Il ruolo dei reality culinari in Italia: da show competitivo a dispositivo estetico nazionale

In Italia, la percezione estetica del cibo ha subito una trasformazione radicale a partire dall’ultimo decennio, complice l’avvento dei reality gastronomici. Programmi come MasterChef Italia, in onda su Sky Uno dal 2011, hanno reso il gesto culinario un vero e proprio spettacolo. Non si tratta più soltanto di “saper cucinare”, ma di esibire competenza, rigore, gestione dei tempi, sopportazione dello stress e autocontrollo. Secondo le rilevazioni Auditel, le edizioni più seguite del format hanno superato il milione di spettatori medi, contribuendo a consolidare un immaginario in cui la cucina diventa sinonimo di perfezione tecnica ed eccellenza formale.

A questo capostipite si sono aggiunti altri format di successo, ciascuno con una propria grammatica visiva ben riconoscibile. Hell’s Kitchen Italia (Sky Uno, 2014-2017) ha proposto un’estetica dura, ispirata alla disciplina militare, dominata da acciaio, luci fredde e gerarchie marcate. Bake Off Italia (Real Time, dal 2013) ha scelto invece un impianto favolistico e rassicurante, fatto di tonalità pastello, porcellane vintage e atmosfere bucoliche. Cortesie per gli Ospiti. Rilanciato da Real Time nel 2018, ha riportato l’attenzione sulla convivialità domestica, mentre 4 Ristoranti (Sky Uno, dal 2015) ha introdotto una nuova forma di storytelling gastronomico competitivo, dove l’ambiente e il servizio diventano parte integrante del giudizio.

Questi format, pur con estetiche differenti, condividono una medesima logica: il cibo viene rappresentato come espressione visiva di identità, competenza e status sociale. La mise en place diventa dispositivo simbolico, il gesto culinario si fa racconto, e la cucina si trasforma in performance.

Non più solo show, ma anche rappresentazione cruda del mestiere. A fare da contrappunto alla retorica del “cibo perfetto” è la crescente popolarità dei video di cucina casalinga.

Negli ultimi anni, tuttavia, si è affermata una contro-narrazione visiva più disordinata e realistica, alimentata in gran parte dai linguaggi dei social media e da piattaforme come YouTube. Contenuti derivati da format televisivi come Cucine da Incubo Italia (trasmesso originariamente da Fox Life e poi da NOVE) vengono rilanciati in formato digitale, dove le cucine appaiono più vissute, caotiche e imperfette. Non più solo show, ma anche rappresentazione cruda del mestiere. A fare da contrappunto alla retorica del “cibo perfetto” è la crescente popolarità dei video di cucina casalinga, dei vlog in cui la preparazione del pasto è immersa nella realtà domestica, con stoviglie spaiate e taglieri consumati.

Lo spazio della cucina si è trasformato in un teatro dove si recita non solo l’arte gastronomica, ma la propria identità pubblica.

L’impatto culturale di questi format – tanto quelli televisivi quanto le loro declinazioni digitali – è tutt’altro che marginale. Hanno contribuito a fissare standard visivi e linguistici, educando il pubblico a un certo sguardo estetico sul cibo e rendendo giudicabile ogni gesto culinario, dalla scelta degli ingredienti all’impiattamento finale. In un mondo in cui cucinare è diventato anche un atto performativo, lo spazio della cucina si è trasformato in un teatro dove si recita non solo l’arte gastronomica, ma la propria identità pubblica.

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