Come le filter bubble stanno riscrivendo il nostro modo di pensare e di scegliere

Ogni click, ogni like, ogni ricerca diventa una traccia digitale che alimenta una versione personalizzata della realtà, diversa per ciascun utente, plasmata sulle sue preferenze e opinioni.

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28 July, 2025

La promessa di Internet era chiara: liberarci dalle gabbie informative del passato, offrendoci un accesso diretto e democratico alla conoscenza. Oggi invece viviamo intrappolati dentro celle invisibili, modellate da algoritmi silenziosi e pervasivi. Ogni click, ogni like, ogni ricerca diventa una traccia digitale che alimenta una versione personalizzata della realtà, diversa per ciascun utente, plasmata sulle sue preferenze e opinioni. Così nascono le cosiddette «filter bubble», bolle informative costruite su misura che ci isolano in una confortevole eco delle nostre convinzioni preesistenti. Non si tratta più di un semplice fenomeno tecnico, ma di un cambiamento strutturale e profondo nel nostro rapporto con la verità e con l’informazione. E il 64% degli utenti ignora di essere intrappolato in queste bolle (fonte: Pew Research Center, 2022).

«Gli algoritmi decidono cosa mostrarci in base a ciò che pensano ci piaccia,non a ciò che potrebbe essere importante». Eli Pariser – “The Filter Bubble: What the Internet Is Hiding from You”.

Che cosa sono le filter bubble?

La «filter bubble», letteralmente «bolla di filtraggio», è un termine tecnico che indica il fenomeno attraverso cui gli algoritmi dei principali servizi digitali – come social network, motori di ricerca e piattaforme di streaming – selezionano automaticamente i contenuti da mostrare agli utenti, basandosi su informazioni precedentemente raccolte sulle loro abitudini e preferenze online.

Il concetto fu introdotto nel 2011 dal ricercatore Eli Pariser, autore del celebre libro The Filter Bubble: What the Internet Is Hiding from You, in cui evidenziava per la prima volta come le piattaforme digitali stessero costruendo ambienti informativi su misura per ciascun individuo. Secondo Pariser, gli algoritmi «decidono cosa mostrarci in base a ciò che pensano ci piaccia, non a ciò che potrebbe essere importante».

Tecnicamente parlando, la costruzione di queste bolle avviene tramite algoritmi predittivi e sistemi di machine learning che analizzano costantemente il comportamento digitale degli utenti. Ogni interazione – click, like, condivisione, commento, tempo trascorso su una pagina – viene utilizzata per prevedere interessi futuri e proporre contenuti simili, generando così una spirale che tende progressivamente a restringere il panorama informativo dell’utente, escludendo punti di vista alternativi e diversificati.

Questa dinamica produce l’illusione che ciò che vediamo online rifletta l’intera realtà, quando invece si tratta solo di una selezione parziale, costruita esclusivamente sui nostri comportamenti precedenti. Ma fino a che punto questa comodità informativa può limitare la nostra capacità critica di scegliere liberamente?

Le filter bubble non costituiscono soltanto una questione tecnica o di privacy: il loro impatto si estende alla sfera sociale e democratica, generando effetti negativi molto concreti sulla società. Uno degli effetti più evidenti è l’aumento della polarizzazione politica e sociale.

Le conseguenze negative delle bolle di filtraggio

Le «filter bubble» non costituiscono soltanto una questione tecnica o di privacy: il loro impatto si estende alla sfera sociale e democratica, generando effetti negativi molto concreti sulla società. Uno degli effetti più evidenti è l’aumento della polarizzazione politica e sociale, come confermato da uno studio condotto dall’Università di Oxford nel 2022.L’indagine, focalizzata su Twitter e Facebook, ha dimostrato che gli utenti esposti costantemente a contenuti polarizzati rafforzano sempre più le proprie posizioni iniziali, limitando fortemente la possibilità di dialogo e confronto con punti di vista alternativi.

Accanto alla polarizzazione, emerge il fenomeno dell’isolamento informativo: il 72% degli utenti statunitensi, secondo un’indagine di Pew Research Center, tende a fidarsi esclusivamente di notizie coerenti con le proprie convinzioni pregresse, ignorando o addirittura rifiutando deliberatamente contenuti divergenti. Ciò conduce a una visione del mondo distorta e limitata, rendendo gli utenti più vulnerabili alla diffusione di fake news e disinformazione.

Inoltre, le conseguenze psicologiche delle bolle informative sono altrettanto preoccupanti: una ricerca ha evidenziato che l’isolamento informativo può incrementare significativamente ansia e frustrazione, provocando fenomeni di radicalizzazione cognitiva e incrementando l’aggressività comunicativa nei dibattiti online. In altre parole, non solo perdiamo capacità critica, ma diventiamo paradossalmente più ostili verso chi non condivide il nostro panorama informativo. E se le piattaforme digitali continueranno ad alimentare questo isolamento, quale sarà il prezzo reale che la nostra società dovrà pagare in termini di coesione e convivenza democratica?

Filter bubble ed echo chamber: cosa sono, come distinguerle e perché è importante farlo

Se con filter bubble intendiamo principalmente un fenomeno tecnico, ossia lo spazio informativo personalizzato generato da algoritmi che selezionano automaticamente i contenuti digitali, la «echo chamber» – letteralmente «camera dell’eco» – è invece una dinamica che coinvolge prevalentemente aspetti psicologici e sociali. Nelle echo chambers, infatti, gli utenti tendono attivamente a circondarsi soltanto di opinioni e informazioni simili o identiche alle proprie, respingendo sistematicamente prospettive alternative.

Secondo uno studio pubblicato dal MIT nel 2021, che ha analizzato oltre 10 milioni di conversazioni politiche su Twitter, gli utenti tendono ad interagire quasi esclusivamente con persone che condividono le stesse opinioni e valori ideologici, evitando deliberatamente di esporsi a punti di vista differenti. Questo comportamento porta inevitabilmente a una radicalizzazione progressiva delle proprie convinzioni, amplificata ulteriormente dalla natura immediata e virale dei social media. Una conferma importante arriva da un’inchiesta parallela del Wall Street Journal (2021), focalizzata su Facebook, che ha evidenziato come la piattaforma privilegi contenuti estremi o altamente emotivi proprio perché capaci di aumentare engagement e interazioni, alimentando di conseguenza la polarizzazione tipica delle echo chambers.

In sostanza, se la filter bubble è creata automaticamente da algoritmi in base ai nostri comportamenti digitali passivi, la echo chamber rappresenta invece un risultato delle nostre scelte attive. Una ricerca della Harvard Kennedy School (2020) ha mostrato, infatti, che il 45% degli utenti di social media blocca o esclude volontariamente contenuti e profili non in linea con le proprie idee, contribuendo così a rinforzare una camera dell’eco chiusa, gratificante e impermeabile ad ogni stimolo esterno.

Sebbene comfort e rassicurazione siano piacevoli nell’immediato, queste dinamiche comportano rischi concreti: limitano la capacità critica, favoriscono la disinformazione e riducono il confronto costruttivo, creando fratture sociali difficili da ricomporre. Riconoscere le echo chambers, dunque, diventa essenziale per preservare la pluralità del dibattito pubblico e la salute stessa delle democrazie contemporanee.

Dentro la bolla di TikTok: come l’algoritmo più potente al mondo influenza milioni di giovani

TikTok, la piattaforma cinese nata nel 2016, è rapidamente diventata il social network più efficace e invasivo nell’applicazione delle logiche di filtraggio algoritmico. Secondo un rapporto dettagliato pubblicato dal Wall Street Journal nel 2021, l’algoritmo di TikTok necessita di meno di due ore di utilizzo continuativo per profilare con estrema accuratezza gli interessi di ciascun utente. Il sistema analizza meticolosamente ogni minimo comportamento, non soltanto il contenuto guardato più a lungo, ma anche quello scartato rapidamente, determinando preferenze implicite con una precisione impressionante.

Questa capacità di personalizzazione estrema porta inevitabilmente i giovani utenti – principali fruitori della piattaforma, con il 63% degli iscritti sotto i 30 anni secondo Statista (2023) – ad essere esposti quasi esclusivamente a contenuti coerenti con le loro preferenze iniziali. Sebbene inizialmente questo possa sembrare positivo e rassicurante, l’effetto a lungo termine può rivelarsi problematico: l’algoritmo tende infatti a radicalizzare interessi e convinzioni, isolando progressivamente gli utenti all’interno di micro-comunità tematiche, spesso caratterizzate da contenuti estremi o controversi. Un’indagine pubblicata da NewsGuard (2022) ha evidenziato che dopo appena 35 minuti di navigazione, l’88% degli adolescenti americani era esposto a contenuti polarizzanti o potenzialmente fuorvianti.

Il pericolo di TikTok risiede nella sua straordinaria efficacia: mentre intrattiene con leggerezza milioni di giovani, l’algoritmo silenziosamente orienta i loro gusti, opinioni e identità verso visioni sempre più ristrette e meno pluraliste. Senza una consapevolezza attiva da parte degli utenti, questa modalità di consumo informativo rischia di minare la capacità critica delle nuove generazioni, condizionando la loro stessa libertà di pensiero e di scelta.

Cercare deliberatamente prospettive alternative rispetto a quelle abituali, riduce l’efficacia predittiva degli algoritmi, rendendo più complessa la profilazione automatica degli utenti.

Come evitare le bolle di filtraggio: strategie e soluzioni pratiche

Se le filter bubble sono alimentate dalla passività digitale e dalla prevedibilità del comportamento online degli utenti, evitarle implica necessariamente adottare comportamenti più consapevoli e critici. Alcune strategie pratiche possono aiutare significativamente a rompere o almeno ridurre l’effetto di queste bolle. Secondo uno studio del Reuters Institute for the Study of Journalism (2021), variare attivamente le fonti di informazione è la misura più efficace: cercare deliberatamente prospettive alternative rispetto a quelle abituali riduce l’efficacia predittiva degli algoritmi, rendendo più complessa la profilazione automatica degli utenti.

Un’altra tecnica fondamentale consiste nell’utilizzare modalità di navigazione anonime, come la modalità privata o incognito, che impediscono alle piattaforme di tracciare e profilare facilmente le preferenze personali. Molti esperti suggeriscono inoltre di disattivare, dove possibile, la personalizzazione degli annunci e dei contenuti offerta da piattaforme come Google e Facebook. Anche se ciò potrebbe rendere l’esperienza online meno personalizzata e apparentemente meno comoda, nel lungo periodo favorisce un panorama informativo più diversificato e obiettivo. Infine, una consapevole educazione digitale – che insegni agli utenti a comprendere criticamente come funzionano gli algoritmi – rappresenta forse l’arma più potente contro l’inconsapevolezza.

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