La rinascita del vinile: nostalgia o strategia?
Pre-order, vinili speciali con colorazioni diverse ed edizioni deluxe con singoli inediti, quello delle versioni speciali è un meccanismo che è sempre esistito ma che negli ultimi anni sta sempre di più tornando.
La rinascita del vinile può essere fatta risalire alla metà degli anni 2010: un ritorno che, nel tempo, ha progressivamente soppiantato i CD, alimentato dalla nostalgia e dal richiamo emotivo, oggi tra le leve più potenti del marketing.
Dai vinili alle cassette, la musica diventa sempre di più un atto di collezionismo, prima di tutto, e poi di ascolto. C’è anche da dire che per gli appassionati di musica che ricercano la qualità oltre al semplice ascolto, acquistare vinili rappresenta un modo per godere di un suono più autentico e di qualità superiore, difficile da ottenere attraverso le piattaforme di streaming che dominano la scena musicale mondiale.
Secondo uno studio della Recording Industry Association of America (RIAA), le piattaforme di streaming musicale oggi rappresentano più dell’84% del giro d’affari della musica registrata, per un valore di $4.68B, contro i $457M dei vinili, che equivalgono ai 3/4 della musica fisica. In Italia invece i dati FIMI relativi al primo semestre 2025, raccontano che l’industria musicale ha toccato la cifra record 208 milioni di euro, con un incremento del +9,7% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
La modalità di acquisto della musica è radicalmente cambiata. Se fino a pochi anni fa la principale fonte di guadagno degli artisti (oltre ai concerti) era la vendita di dischi, ora che la distribuzione della musica è più libera e accessibile a tutti, gli artisti cercano di puntare molto di più sulla vendita strategica di vinili e merchandising.

Il vinile come oggetto di culto
Dischi colorati, con fantasie 3D e multicolore: l’estetica dei vinili moderni è delle più varie.
L’apparire e creare un disco che sia attraente anche esteticamente e non solo dal punto di vista musicale, sta diventando una caratteristica necessaria. Alcuni artisti scelgono di osare e di creare qualcosa di nuovo e stravagante, che rispecchi la loro identità.
Due esempi molto lampanti sono Yungblud e Charli XCX, noti per essere degli anticonformisti e idoli indiscussi della Gen Z.
Il vinile con il sangue di Yungblud, rispecchia perfettamente lo stile e l’identità della rock star. Unico nel suo genere, perché il primo ad aver creato una cosa del genere, il vinile è andato subito sold out.
Discografia che non è più solo musica, ma che diventa un oggetto da collezione, album che si trasformano in esperienze multisensoriali, includendo elementi extra come note scritte a mano, poster con grafiche speciali e foto inedite. Questo fa sì che i fan si sentano più coinvolti e vicini all’artista, cambiando la dinamica dell’acquisto della musica che non si conclude solo con l’acquisto ma che, in un certo senso, si completa trasformandosi in merchandising.
Supporto o merchandising? L’artista come brand
Il confine tra il sostegno genuino a un artista e la strategia che spinge i fan verso l’iperconsumismo è sempre più sottile.
Le pop star moderne fanno leva sulle fanbase che farebbe di tutto per loro. Creano la cosiddetta FOMO (Fear of Missing Out), che si basa sulla paura di perdere l’occasione di possedere un pezzo unico ed esclusivo, spingendo così i fan a comprare d’impulso.
L’esempio per eccellenza è sicuramente Taylor Swift, che per il lancio del suo ultimo disco The Life of a Showgirl, ha fatto uscire 34 versioni diverse dello stesso album nel giro di una settimana.
27 edizioni fisiche (18 CD, 8 vinili e una cassetta) e 7 versioni digitali disponibili per il download. Una strategia ideata per essere sempre al numero uno delle classifiche ed eliminare la concorrenza? Eppure, Taylor Swift non avrebbe certo bisogno di simili strategie per dominare le chart: la sua forza economica è tale da influenzare persino il PIL dei Paesi in cui si esibisce.
È il meccanismo dell’hype portato all’estremo, un’idea di esclusività che finisce per somigliare sempre di più al sistema ipercompetitivo costruito attorno al mercato dei concerti.
In un panorama dominato dai colossi del pop e dalle strategie multimilionarie, per gli artisti indipendenti o di medie/piccole dimensioni, la vendita dei dischi assume tutt’altro significato: non è una trovata di marketing, ma un atto di sopravvivenza. Mentre le major moltiplicano le edizioni e alimentano la scarsità artificiale, le realtà indipendenti usano la materialità del disco come strumento di connessione autentica. Non si tratta di creare hype o collezionismo, ma di costruire un rapporto diretto e sostenibile con il proprio pubblico.
Ogni copia venduta rappresenta un gesto di fiducia reciproca: il fan che acquista un vinile o una t-shirt non compra solo un oggetto, ma contribuisce concretamente alla possibilità dell’artista di continuare a fare musica.

In questo senso, il merchandising diventa una forma di mecenatismo contemporaneo, un modo per finanziare la creatività in un sistema che tende a premiare solo chi ha già molto.
Come disse Billie Eilish l’anno scorso: “E poi ci sono alcuni dei più grandi artisti al mondo che fanno fottute 40 edizioni diverse in vinile, ognuna con qualcosa di unico, solo per farti continuare a comprarne di più. È uno spreco assurdo, e mi dà fastidio che siamo ancora a un punto in cui alla gente importa così tanto dei propri numeri e di fare soldi.”
La cantante americana sottolinea quello che in pochi hanno il coraggio di dire: ha davvero senso avere decine di edizioni uniche, stampe con poche centinaia o migliaia di copie?
Forse dovremmo superare il confine tra arte e mercato, per tornare a un rapporto più umano e meno bulimico in modo da apprezzare di più la musica.