Tra storytelling e storydoing, nuovi paradigmi della comunicazione aziendale sulla sostenibilità

Nel corso del terzo appuntamento della nostra rassegna Talking Heads, abbiamo avuto il piacere e la fortuna di condividere argomenti e punti di vista rilevanti sulle tematiche della sostenibilità, mettendo assieme le storie e le expertise di quattro ospiti di rilievo nel mondo della comunicazione, tutti accomunati dallo stesso purpose: rendere le persone più consapevoli e il nostro mondo un luogo migliore. Stiamo parlando di Alice Pomiato (Green content creator & Independent Sustainability Consultant), Federico Rossi (Co-founder Sintesi Factory e business unit director Sintesi Sostenibile), Alberto Pauletto (Communications Manager FSC Italia), e Tommaso Pittarello (Direttore Marketing e Co-founder di Strooka, Marketing Consultant di Etifor).

04 Agosto, 2023 - ~ 11 minuti

Talking Heads #3 – Comunicare la sostenibilità” è stato il terzo appuntamento della nostra nuova rassegna di talk dedicata ai temi più rilevanti nel mondo della comunicazione aziendale, ospitata all’interno del Festival Arcella Bella a Padova. Dopo aver analizzato nelle precedenti puntate le tante sfumature della Content Creator Economy e del Sound Branding, tocca ora a un altro dei trend topic di questi anni, non solo a livello aziendale ma anche a livello sociale e culturale, ovvero il macro tema della “sostenibilità“, che si è evoluto nel tempo fino ad assumere un significato così ampio e flessibile da rendere difficoltosa una definizione univoca. 

Abbiamo voluto entrare in profondità nel significato di sostenibilità, in primis ambientale ma anche sociale ed economica, proponendo degli esempi virtuosi per una comunicazione rilevante, coerente e valoriale. Attraverso una serie di best practice ed errori da evitare, abbiamo voluto fornire un bussola d’orientamento a marketer e comunicatori, in azienda come in agenzia, per evitare tutti i “washing”, non solo quelli green.

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Tutti parlano oggi di sostenibilità, è il tema centrale e fondante a livello mondiale per l’Agenda 2030, è un tema sociale e culturale di primaria importanza, dove la comunicazione e il marketing diventano quasi aspetti secondari.

Abbiamo avuto il piacere e la fortuna di ospitare assieme quattro professionisti che hanno fatto di questo ambito prima una vocazione personale e poi un lavoro. Con loro avremmo potuto proseguire ben oltre l’ora e mezza nella quale abbiamo dovuto “relegare” il nostro talk. Gli spunti che abbiamo potuto vivere live e poi portarci a casa sono stati comunque molteplici e realmente preziosi, per accrescere la consapevolezza e un mindset adeguato per gestire al meglio queste tematiche, sia a livello professionale che nella vita personale di tutti i giorni.

Cos’è realmente la sostenibilità nell’ambito aziendale? Quando e come è nata questa vocazione sulle tematiche ambientali? Da “storytelling” a “storydoing”, come comunicare la sostenibilità da parte di un’azienda?

Siamo partiti da queste domande per interrogare Alice, Federico, Alberto e Tommaso e sviscerare i significati, gli approcci e le strategie più corrette ed efficaci per vivere e comunicare al meglio tutte le tematiche legate alla sostenibilità.

Qui, uno ad uno, in rigoroso ordine di apparizione nel talk, raccogliamo alcuni spezzoni dei loro illuminanti interventi.

ALICE POMIATO

Nasco come Content Creator sui temi della sostenibilità e dallo scorso anno collaboro con diverse organizzazioni per fare lezioni e consulenze dedicate ai temi della sostenibilità, con l’obiettivo di creare una cultura della sostenibilità condivisa all’interno di varie realtà, che siano aziende, associazioni, scuole, enti.

Parliamo tutti di sostenibilità, ma quante persone all’interno di questa realtà sanno che cos’è realmente la sostenibilità e come occorre approcciarla? Perché prima bisogna farla e poi bisogna comunicarla! 

Ho lavorato in un’agenzia di comunicazione fino al 2018, facevo la social media digital strategist, e ad un certo punto ho cominciato a soffrire molto il fatto di non mettere le mie competenze a disposizione di realtà che sposano cause sociali e ambientali. Erano gli anni appena prima di Greta Thunberg in realtà, ma io già mi interessavo di sostenibilità e avevo l’angoscia rispetto al “Climate Clock” che ci dava 13 anni prima raggiungere il punto di non ritorno.

Questo è stato il mio motore di messa in discussione: mi piace quello che faccio, mi piace fare comunicazione, mi piace fare marketing, credo nel potere della comunicazione di arrivare alle persone, di fare grandi cose.

Però non mi piaceva per chi lo stavo facendo e quindi da lì poi ho messo in discussione tutto e alla fine del 2020 mi sono convinta di voler aprire il mio canale Instagram dove condividere il personale percorso di consapevolezza verso una vita più sostenibile.

Ho visto che l’interesse era molto, ci ho messo tanto impegno e dall’anno successivo è proprio diventato un lavoro a tempo pieno, iniziando anche tutta la parte di consulenze.

Vedo che anche molte altre persone che lavorano nell’ambito della comunicazione questa cosa la sentono in maniera molto forte. Le persone oggi richiedono alle aziende, alle realtà per cui lavorano, di sposare cause sociali e ambientali, perché non è più solo profit. Quello che diamo nel mondo deve trovare il modo di rigenerarsi, ridistribuirsi, garantire un futuro a noi e a chi verrà dopo e questa cosa secondo me è molto sentita.

L’abbiamo vista anche per tutto il fenomeno dei “Climate Quitters”: persone che abbandonano le realtà per cui lavorano, perché non hanno un impegno in questo senso. Io questa cosa l’ho davvero sentita e per fortuna non sono l’unica.

Un approccio culturale forte sarebbe indispensabile, ma noi viviamo in una società dove non ci hanno insegnato la cultura della sostenibilità, quindi è una novità per chiunque di noi che si approccia a questi temi e deve proprio rivedere la sua vita, il suo mindset, il modo di approcciarsi alle cose, pensando al fatto che queste cose hanno un impatto ambientale, sociale, sanitario, su di me, sulla collettività, sul futuro.

Riguardo al rapporto tra “storydoing” e “storytelling” non c’è molto da discutere: la sostenibilità prima si fa e poi si comunica!

E per farla bisogna seguire tutti i processi, capire che business si sta facendo, quali sono i suoi impatti, misurarli, migliorarli, raccontarli e poi implementare chiaramente anche tutta una strategia di comunicazione e marketing per parlare con gli stakeholder e i clienti.

Tante aziende saltano la parte più importante, legata alla misurazione del Life Cycle Assessment e del miglioramento dei processi, passando direttamente alla comunicazione “green”. Infatti proprio questo si chiama greenwashing (anche se le sfumature di washing sono diverse): quando si comunica un processo senza averlo davvero iniziato, fino al fatto di esaltare qualità anziché delle altre, oppure omettendo il fatto che alcune parti del business sono particolarmente impattanti,  facendo leva sull’ignoranza delle persone che non sono state educate e formate alla sostenibilità, agli stili di vita sostenibili, al riconoscere un prodotto o un servizio sostenibile.

Sicuramente c’è bisogno di lavorare su una cultura condivisa della sostenibilità, perché se io ho cultura, ho le informazioni corrette e sono autonomo nel comprendere e giudicare quello che ho davanti. 
Chiaramente ci sono degli aspetti che sono molto tecnici e non sono per tutti.

È responsabilità delle aziende e delle istituzioni agire a monte, per garantire e imporre delle leggi, costringendo i vari player a lavorare in questo modo. Noi facciamo tantissimo leva sul modello di consumo delle persone: ad esempio “non comprare la bottiglietta di plastica, non mangiare la carne” e ci dimentichiamo volutamente che è il sistema produttivo il problema e solo a cascata il modello di consumo.

Se le aziende iniziano ad offrirci qualcosa che è accessibile e sostenibile, per tutti noi cambiare abitudini sarà molto più facile!

FEDERICO ROSSI

Con Sintesi Factory siamo partiti nel 1999 come società di consulenza di marketing strategico e comunicazione. Dopo qualche anno iniziamo a parlare di temi di sostenibilità perché facciamo il primo bilancio sociale per una Banca di Credito Cooperativo e apriamo la nostra business unit che si chiama Sintesi Sostenibile nel 2006.

Con l’agenzia ci occupiamo di sostenibilità da oltre vent’anni, sia dal punto di vista di supporto alle aziende per i modelli di business sostenibili, sia per quanto riguarda la parte di rendicontazione della sostenibilità, cioè quel tema che è sempre più stringente, ovvero il bilancio di sostenibilità come strumento di misurazione dell’agire sostenibile, per poi arrivare alle strategie di comunicazione, divulgazione e coinvolgimento.

Di sostenibilità se ne parla da tanto, anche se in realtà fino al 2018, quando andavo a parlare in azienda di sostenibilità, riscontravo sempre un certo scetticismo. Anche nelle grandi aziende ero solito sentire la solita battuta: “È arrivato l’ambientalista, è arrivato quello del WWF!“.

Se parlo di applicazioni, di modelli di business, cerco di trovare un modello di sviluppo che sia in grado di tenere in equilibrio il profit che deve esserci, con quelli che sono gli impatti ambientali e sociali

Un modello che, se gestito correttamente in azienda, è realmente win-win. Quindi di fatto non c’è qualcuno che ci rimette, ci guadagniamo tutti. 

Il problema è che però, effettivamente fino a qualche anno fa non ne parlava nessuno. Adesso tutti ne parlano, molti in malo modo, il tema è vasto e va perimetrato, contestualizzato e approcciato con un forte pragmatismo.

Sin dai primi anni di attività, ho cominciato a capire che comunicare la sostenibilità è molto diverso che fare comunicazioni di marketing. 

Sin dal 2006 ho voluto creare una divisione a parte in Sintesi Factory, perché comunicare la sostenibilità richiede modalità diverse, richiede un punto di partenza diverso, richiede una comprensione di un intervento di natura tecnica, tecnologica, scientifica e di comprensione di quelli che sono i modelli di business e le dinamiche organizzative. Richiedono un livello di interazione con l’azienda completamente diverso.

Faccio un esempio: prendiamo un brand di scarpe sportive col quale stiamo facendo dei progetti. Se io dovessi comunicare da un punto di vista di marketing la scarpa, prendo questa bellissima prodotto di un rinomato distretto calzaturiero veneto, la porto nella mia divisione comunicazione, facciamo delle bella foto, creiamo dei claim accattivanti, facciamo una bella campagna e magari ci portiamo a casa anche degli ottimi risultati. Passatemi questa semplificazione, sappiamo bene che non è così ma era per dare un’idea.

Se devo comunicare invece come quell’azienda, con quello stesso prodotto, si sta muovendo in ambito di sostenibilità, devo conoscere tutto quello che c’è dietro. 

Dal punto di vista della comunicazione, posso anche non sapere minimamente come è stata fatta la scarpa o come è stata prodotta. Se devo comunicarla da un punto di vista di sostenibilità, devo capire se l’azienda produttrice sta utilizzando pellame da tecnologie rigenerate (quindi recuperano scarti di produzione), se sta utilizzando poliuretani da polioli riciclati o collanti ad acqua oppure a solvente chimico. Devo avere una competenza tecnica sul prodotto che successivamente devo tradurre in modalità comunicativa non per un target ristretto come i miei clienti, ma per un pubblico estremamente vasto come gli stakeholder, che sono talmente (e tragicamente) disomogenei da richiedere diversi livelli di comunicazione e di accessibilità a delle informazioni spesso complesse.

Più in generale, Business & Sostenibilità, Profit & Prosperity devono andare a braccetto. Fare sostenibilità è un acceleratore di business, se la faccio seriamente!

Ho avuto fortuna in questi anni, essendo partito prima di altri, di aver fatto tanta divulgazione su questo tema. Insegno in svariati master in giro per l’Italia, da Cà Foscari al Politecnico di Milano. Spesso mi viene “rimproverato” di andare in giro a formare i miei concorrenti, raccontando come si fa la sostenibilità. Ci tengo però che venga fatta bene, preferisco che si alzi il livello per andare a fare “competizione” con dei player di prima fascia.

Il discorso dello “storytelling vs. storydoing” è una cosa che insegno ai master da almeno 5/6 anni e rappresenta proprio il mio mantra. Qui l’inversione dei fattori cambia il prodotto, eccome.

È finito il tempo della sostenibilità per gli slogan: “100% sostenibile” o “Dalla parte della Natura” e quant’altro. I clienti e consumatori stanno comunque crescendo dal punto di vista di cultura e consapevolezza, magari non ancora con la velocità che vorremmo, ma stanno comunque crescendo.

Anche perché stanno arrivando davvero le norme e di conseguenza anche  le sanzioni.

C’è un specifica tecnica, la ISO TS 17033, che va a disciplinare gli “ethical claims” e ci dice come possiamo comunicare la sostenibilità, ci dice cosa possiamo dire e cosa non possiamo dire. Questa specifica tecnica è stata presa come riferimento adesso per quella che sarà di prossima emanazione: la direttiva sui “green claims”.

Non solo abbiamo avuto adesso a inizio anno l’emanazione della CSRD Corporate Sustainability Reporting Directive che ha cambiato completamente i framework di rendicontazione della sostenibilità, ma avremo delle norme sempre più stringenti che ci dicono cosa possiamo fare e cosa possiamo dire. Perché il normatore non è stupido ed ha capito perfettamente che in questo momento la sostenibilità, sposta i comportamenti di acquisto

La sostenibilità è un driver di acquisto dei consumatori, perché vado a scaffale e banalmente tendo comunque a prediligere il brand che mi racconta qualcosa di sostenibilità.

Il greenwashing fino a qualche anno fa ti dava una pacca sulla spalla perché era supervisionato dallo IAP Istituto di autodisciplina pubblicitaria, che tutti quanti conosciamo bene perché come agenzie sottoscriviamo un codice deontologico. Però lo IAP non è un authority, cioè quindi non aveva potere sanzionatorio e poteva chiedere al massimo di sospendere la campagna.

È passato quindi sotto l’autorità garante per la concorrenza e del mercato, che è un authority che ha potere sanzionatorio ed ora si che arrivano le sanzioni economiche. 

ALBERTO PAULETTO

FSC è una ONG, il suo nome è un acronimo che sta per Forest Stewardship Council, è quindi appunto, in una semplice traduzione in italiano, “Concilio della gestione delle foreste”.

Questa ONG nasce nei primi anni ’90 a livello internazionale, subito dopo il summit della Terra di Rio. In quell’occasione si era usciti con un nulla di fatto per quanto riguardava la gestione delle foreste, nel senso che c’erano diverse visioni per quelli che erano i gruppi ambientalisti, i gruppi sociali e i gruppi economici riguardo a quello che si doveva e si poteva fare con le foreste.

FSC nasce mettendo insieme queste tre componenti, queste tre anime. La sede storica è in Messico, solo successivamente è stata portata in Europa,  più precisamente in Germania e da lì poi sono nati i vari uffici nazionali.

Quello italiano è nato nel 2001 da una costola dell’Università di Padova (più precisamente da Scienze Forestali) e quindi con una forte componente ambientale, trattando la gestione delle foreste e dei mercati collegati. Adesso facciamo parte di un network di circa 80 uffici nel mondo.

Lavorare per un’agenzia o un’azienda può dare un sacco di soddisfazioni, però se non si trova quella sintonia o quella sensibilità su alcuni temi e nello sviluppare pratiche e azioni di sostenibilità, non è la stessa cosa. Da questo punto di vista mi ritengo davvero molto fortunato, perché ho incontrato un posto ideale.

Il mio lavoro e quello del mio ufficio, tra le varie cose, consiste nel comunicare quella che è la cultura delle foreste e quello che si può fare e quello che non si può fare con le foreste, come possiamo gestirle in maniera sostenibile e come da queste risorse possiamo trarre dei vantaggi che vanno oltre anche a quelli che sono i materiali come il legno o la carta. Ad esempio, le foreste incidono nell’aria che respiriamo e anche l’acqua che beviamo per il 70%, deriva dalle foreste.

Altro dato importante che molte persone non conoscono, è che un terzo dell’Italia è coperto da boschi e da foreste. Non so per quale meccanismo psicologico o sociale, tendiamo sempre ad associare le foreste ai luoghi dove avviene la deforestazione, come l’Amazzonia, il bacino del Congo o il  sud-est asiatico.

In Italia paradossalmente abbiamo la foresta che sta avanzando. Dagli anni ’50 in poi, con lo spopolamento delle aree montane, abbiamo i boschi che arrivano quasi nei centri abitati. 

Quello che è scomparso con l’abbandono di queste aree è stata anche la cultura della gestione delle aree stesse e la capacità di utilizzarle in un certo modo, mantenendo determinati equilibri.

Il lavoro di FSC Italia in questo campo, è anche quello di recuperare questa cultura. Inoltre, cerchiamo di sfatare alcuni miti, perché quando si parla ad esempio di tagliare un albero, a tutti vengono i capelli bianchi. Se adesso però ci guardiamo intorno, vediamo che abbiamo le panche fatte di legno, per terra ci sono le assi di legno, il palco è fatto di legno, le sedute dove siamo sono fatte di legno.

Dobbiamo in qualche modo cercare un compromesso tra l’uso della risorsa e il non depauperamento della risorsa stessa.

La comunicazione può venire molto in aiuto da questo punto di vista, meglio se attraverso una componente scientifica e delle strutture proprio come FSC, che può fornire una certificazione che ha base scientifica e che ti suggerisce che facendo le cose in una certa maniera non si vanno a intaccare quelli che sono i valori sociali e ambientali di una foresta.

Poi arriva anche il momento di comunicarlo alle persone, proprio per far capire l’importanza dei boschi, che in Italia e anche a livello europeo, non stiamo perdendo ma anzi stanno crescendo. Ci troveremo quindi in un momento in cui dovremmo decidere cosa farne, soprattutto perché poi arrivano eventi estremi come Vaia che ci trovano del tutto impreparati, a cui non sappiamo come rispondere e quindi quello diventa l’unico momento in cui si parla veramente di foreste in Italia, il momento in cui c’è la tragedia. 

Vengono spazzati via milioni di alberi, vengono rase al suolo intere aree montane e allora lì ci interroghiamo su cosa avremmo potuto fare e su cosa possiamo fare d’ora in avanti

Lo possiamo fare prima e lo possiamo fare bene attraverso una comunicazione che sia ovviamente basata su dati scientifici e quindi anche qui credo una delle skill che deve avere un comunicatore è quella riuscire a leggere in maniera corretta questi dati e renderli intellegibili per chi non ha dimestichezza quotidiana con questi argomenti.

TOMMASO PITTARELLO

Sono Direttore Marketing e Co-founder di Strooka, un’azienda tech che la lavora nell’ambito della ristorazione, ma da cinque  anni collaboro continuativamente con Etifor, uno spin off dell’Università di Padova, che nasce in maniera simile a FSC Italia, nel senso che trova la luce all’interno di un dipartimento di Scienze Forestali di Padova con lo scopo di valorizzare e creare foreste.

Etifor lavora con grandi istituzioni internazionali, con l’Unione Europea, lo Stato italiano, moltissimo anche con la Regione Veneto, per utilizzare al meglio i bandi che vengono messi a disposizione. 

Collabora con realtà del territorio che si prendono cura materialmente proprio delle foreste, in partnership con le aziende e, da qualche anno a questa parte, direttamente con i cittadini, attraverso un portale che è Wow Nature, che permette alle persone di adottare o regalare degli alberi, proteggendo di fatto delle foreste e lo fa in una maniera che è garantita da un punto di vista scientifico. Non si tratta semplicemente di una simpatica operazione di marketing ma tutto è fondato su aspetti scientifici che provengono proprio dal DNA di Etifor.

Mi ritengo molto fortunato perché riesco ad avere la possibilità di proporre molte idee legate soprattutto alle strategie aziendali e alle collaborazione con le altre aziende per fare in modo che tutti lavorino sulla sostenibilità. 

Sono più di 550 ormai le aziende che hanno innescato un percorso virtuoso dove la sostenibilità è un requisito dei progetti, non è una finalità. La base di partenza è che tutto deve essere sostenibile, sia dal punto di vista economico e di profitto, ma anche ovviamente da quello ambientale. Non ha molto senso che non lo sia, perché infatti dopo un po’ si rompe il giocattolo e si butta via tutto.

Con il progetto Wow Nature abbiamo l’occasione di fare una cosa che è perfetta per poter fare contemporaneamente sia storytelling che storydoing: andare materialmente a piantare gli alberi.

Se hai adottato l’albero, si organizza un evento per il quale ricevi un invito e di fatto tu, con la scusa di conoscere il tuo albero, che in realtà non è proprio il tuo ma è della foresta, puoi piantarlo materialmente con le tue mani!

In aggiunta, puoi ascoltare i racconti del forestale che ti spiega esattamente a cosa serve, quali specie vanno bene, perché alcune piante invece non vanno piantate in quella zona e molto altro ancora. Questa esperienza è particolarmente apprezzata anche dalle aziende, soprattutto quelle grandi, perché hanno anche un tema di comunità interna. Un’azienda da 5000 persone ha l’esigenza anche di parlarne internamente.

Per cui questi eventi li facciamo anche privatamente a dei gruppi da 5000 persone. Le persone che partecipano poi hanno la possibilità di raccontare questa storia che hanno vissuto in prima persona, diventando dei facilitatori e una sorta di ambassador.

A dirla tutta, non si tratta esattamente di sostenibilità, ma è un piccolo gesto che però ci aiuta tantissimo a innescare un circolo virtuoso all’interno dell’azienda, che magari ci scopre per la questione legata agli alberi, ma poi si imbatte nel nostro approccio MARC, che sta per: Measure, Avoid, Risk, Capture & Communicate, con il quale accompagniamo le aziende nel fare un percorso di calcolo delle emissioni e di riduzione degli impatti.

Ovviamente lavoriamo in partnership con altre agenzie, ma ci sono 150 delle 500 aziende che abbiamo contattato per piantare degli alberi, che poi hanno iniziato un percorso di questo tipo, per cui questa nostra attività permette decisamente di fare contemporaneamente storydoing e storytelling.

Forniamo una “buona scusa” anche ai manager della grande azienda che non ha molta cultura dei temi ambientali, costruendogli un evento che è facile da comunicare, divertente da organizzare e che innesca una cultura interna di rilievo. Il manager fa bella figura e tutta l’azienda inizia un percorso che non può essere che positivo.

Per cui a me fa tanto piacere vedere che ci sono delle persone che hanno capito che non serve neanche fare greenwashing, perché il mercato – che ha quasi sempre ragione – vuole solo trasparenza e realtà.

I giovani che si stanno affacciando sul mercato, come manager e come consumatori, pretendono trasparenza e che ci sia scritto da qualche parte l’intento, la finalità, il purpose dell’azienda. Ogni settimana ad esempio facciamo dei colloqui a dei ragazzi che scelgono Etifor, proprio per lo spirito che la rappresenta. Vengono in questa azienda perché c’è una visione in cui credono.

Fai pure storytelling quindi, ma racconta le cose vere!