I numeri da record di Sanremo 2024: un Festival sempre più diffuso, aumentato e multicanale

Si è conclusa una delle edizioni più fragorose di sempre di Sanremo, il Festival della Canzone italiana, giunto alla sua edizione numero 74 e con un hype ormai unico al mondo. Una sorta di Superbowl nostrano per tutte le implicazioni mediatiche che ci stanno attorno e con dei numeri da record che arrivano al termine di un quinquennio d’oro targato Amadeus e Fiorello.

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13 Febbraio, 2024

Non abbiamo resistito e abbiamo voluto parlarne anche noi, perché il fascino di questo guilty pleasure porta a galla una serie di trend, small data e tensioni culturali che affondano le radici nello stesso ecosistema in cui si muovono tutti i media, le produzioni culturali, il mondo della comunicazione e soprattutto i brand di qualsiasi industry, mettendo in evidenza quelle che sono le cifre stilistiche di questo nostro tempo in cui viviamo e racchiudendo la storia, le pose e i tic nervosi del nostro paese, attraverso un evento di cinque giorni che ormai rappresenta un unicum in tutto il mondo.

Si tratta di un appuntamento transgenerazionale che rappresenta l’evento mediatico per antonomasia della televisione italiana e che ha il potere di fare da collante tra pubblici di diversa estrazione culturale e socio demografica, oltre che di mettersi in profonda connessione con il “sentire” del paese.

L’anno scorso con la presenza di Chiara Ferragni si era amplificato in maniera ancora più vigorosa un merge inevitabile tra spettacolo televisivo e canali social, tra offline e online che si trasforma poi in un unico grande “onstage”, tanto che, anche grazie a Rai Play, la tv non rappresenta più l’unico sacro device su cui poter fruire questo grande evento, anzi.

È stata così consacrata, soprattutto quest’anno, una versione aumentata di Sanremo che si propaga tra canali social (ufficiali e non), video highlights, contenuti backstage, dibattiti, pagelle e meme.

Numeri alle stelle

Non si può non partire dai numeri che hanno contraddistinto questa “Festival aumentato” che non si basa più soltanto su “semplici” dati televisivi ma che vede una diversificazione a partire dalle metriche di misurazione multi canale, non soltanto sulle piattaforme proprietarie ma anche su quelle degli artisti in gara, dei brand, dei media di ogni grandezza e genere e del pubblico in generale.

Ma di che numeri stiamo parlando?

La quinta serata è stata vista da ben 14.301.000 di persone con il 74,1% di share. La finale lo scorso anno aveva ottenuto in media 12.256.000 spettatori con il 66% di share. Per trovare un risultato in share più elevato bisogna fare un passo indietro di 28 anni e arrivare fino al 1995, quando la tv e lo share erano ovviamente differenti, con il Festival condotto da Pippo Baudo con Anna Falchi e Claudia Koll.

Il picco d’ascolto della finale di Sanremo 2024 in termini di telespettatori è stato raggiunto alle 22.39, con 18.259.000 spettatori, quando sul palco c’erano Fiorello e Roberto Bolle.

A questo aggiungiamo lo streaming su RaiPlay. Nella serata delle cover sono stati 470 mila i device connessi, record di sempre per la kermesse (+46% rispetto al 2023). Il consumo vod di questo Festival vale già complessivamente oltre 17 milioni di streams e più di 2,4 milioni di ore di fruizione.  

Ma come dicevamo, non ci si ferma soltanto al dato televisivo. L’account ufficiale del Festival ha pubblicato ben 1.104 post, garantendosi il primato persino sugli artisti come miglior profilo in termini di risultati sulle piattaforme. Per la prima volta su Spotify, quella di Sanremo 2024 è stata la playlist più ascoltata al mondo. In poche ora la classifica dei Trending Music Videos su Youtube si è arricchita di tutti i principali artisti in gara sul teatro dell’Ariston, superando in molti casi (e con facilità), il milione di views.

Numeri da capogiro anche per quanto riguarda Fantasanremo, un’app che amplifica il valore aumentato e multicanale dell’experience sanremese, aggiungendo un tocco di gamification e traendo spunto, in versione molto semplificata, dal più celebre Fantacalcio. Con pochi click era possibile scaricare l’app e scegliere il proprio quintetto di cantanti, partecipandi a più competizioni in contemporanea con i diversi gruppi di amici e amplificando ancora di più le discussioni sul questo topic. Stiamo parlando di 2,6 milioni di utenti iscritti per un totale di 4,2 milioni di squadre. Non male anche la raccolta di sponsor per questa iniziativa apparentemente “accessoria”.

L’impatto di Sanremo sulla vita degli italiani non si è fermato di certo a quanto sopra descritto, tanto che ci siamo anche chiesti quanto in più hanno dovuto correre i rider del food delivery o quanto è stata influenzata la programmazione di altri eventi, soprattutto musicali nel resto del paese.

Pubblicità, product placement e polemiche

Anche in questa edizione, non potevano mancare i brand sponsor, per ritagliarsi gli spazi di visibilità più efficaci e costosi, in uno dei momenti di maggior attrattività da parte della tv. Se addirittura il Fantasanremo, come abbiamo visto poco sopra, ha attirato una serie di inserzionisti di tutto rispetto, figuriamoci il resto della kermesse

Non potevano mancare i brand fashion e beauty che hanno vestito artisti, presentatori e ospiti, IL riassunto puntuale su questo tema che lo ha regalato Amica Magazine.

I palchi aggiuntivi al di fuori del Teatro Ariston hanno avuto una connotazione commerciale ben evidente, come il second Stage in esterna griffato Suzuki ma soprattutto la nave Costa Smeralda con una serie di spettacoli paralleli e una vistosa operazione con le diverse parole illuminate che stagliavano lungo i lati della nave a favor di telecamera, offrendo una golosissima “base meme” a tutto il pubblico sui social.

Una grande visibilità corrisponde spesso anche a grandi polemiche e non sono passate inosservate alcune esposizioni un po’ fuori dalle righe, come quella di Eni, presente sia con progetto Plenitude che con Enilive, e che ha ricevuto l’accusa di aver messo in piedi, ormai ad anni, uno sfrontato greenwashing, resosi oggi ancor più evidente. Questo articolo di Greenpeace approfondisce in maniera puntuale la questione.

Anche un marchio apparentemente innocuo come Poltrone & Sofa è finito nell’occhio del ciclone a causa di un product placement piuttosto palese ma neanche minimamente citato, né a voce né in sovraimpressione, come dovrebbe invece essere fatto secondo la normativa vigente. Secondo il Presidente dell’Unione Consumatori Massimiliano Dona infatti “si continua a nascondere pubblicità a un pubblico spesso ignaro di assistere a una telepromozione”.

Un articolo su Mowmag ci ricorda inoltre che l’azienda non è nuova a questo tipo di pratica e già vanta un lungo e lusinghiero curriculum di multe e diffide per pratiche promozionali scorrette.

Dammi un po’ di musica leggera

Ad un certo punto ci siamo accorti che c’era anche della musica, forse eccessivamente “leggerissima”, tanto da non dare mai nemmeno il sentore di qualcosa di memorabile, eccezion fatta per qualche tormentone che avrà una obsolescenza programmata della durata di qualche stagione, tempo di scatenarsi nelle balere estive per poi svanire “come d’autunno le foglie”. 

Rspetto agli anni passati nulla di clamoroso dunque, in una competizione in cui si si sono mischiate “zingarate”, esibizioni con l’autotune, balletti da tiktoker e performance di “dinosauri” musicali, in un continuo oscillare tra due poli: “ma questo da dove esce?” e “ma questo è ancora vivo?”.

Nei mesi scorsi, sia nei contributi qui su NOOO Borders, sia all’interno dei nostri eventi live, ci è capitato di soffermarci sul valore delle nuove produzioni musicali odierne, particolarmente influenzate dalle nuove piattaforme digitali. Qui riportiamo due estratti particolarmente significativi:

I consumi sono sempre più liquidi e accessibili, con lo sviluppo dei servizi musicali in streaming, con library infinite e accessibili on demand ovunque, una diffusione sempre maggiore di elementi musicali tra reels, instagram stories e soprattutto contenuti su TikTok, una piattaforma social che è arrivata a influenzare la produzione stessa di contenuti musicali. (Tratto da “Il suono in cui viviamo”: nuove frontiere della comunicazione musicale e sonora)

Uno dei tratti distintivi di TikTok è la sua abilità a rendere virali i contenuti più apprezzati dal pubblico. La brevità dei video – di solito non più di 15 secondi – ha spinto gli utenti a creare contenuti altamente coinvolgenti e soprattutto immediati. Questa caratteristica si è rivelata particolarmente influente nell’ambito delle novità musicali, in quanto ha consentito a molti brani “sconosciuti” di diffondersi rapidamente tra un vasto pubblico. Canzoni prima anonime sono improvvisamente diventate popolari, così come alcuni brani del passato, che grazie a coreografie coinvolgenti o a lip-sync creativi sono tornati in auge. (Tratto da L’impatto rivoluzionario di TikTok sulla musica contemporanea: un nuovo paradigma creativo)

Di sicuro interesse anche il recente intervento di Emiliano Colasanti, una delle più note firme del giornalismo musicale italiano dei nostri tempi e fondatore nel 2007 dell’etichetta 42Records, che ha nel suo roster artisti come I Cani, Cosmo, Colapesce:

Non c’è stato un progetto musicale in gara durante l’ultimo Sanremo che non sia stato presentato con l’elenco dei fantastiliardi di streaming accumulati e dei dischi di oro e platino certificati, che se prima erano un trucco per far passare al pubblico di Rai Uno una classe di potenziali sconosciuti di successo, ora sono davvero diventati l’unica cosa che conta. Una cultura dei numeri che di fatto sta stritolando un mercato che nel frattempo sta cannibalizzando se stesso, come se fosse il millepiedi umano dei film horror. I numeri alla portata di tutti – lo ripeto – hanno ucciso il coraggio. E lo hanno fatto non solo a Sanremo ma anche nelle piattaforme di streaming e nel modo in cui la critica si approccia alla musica. Si parla quasi sempre e solo di risultati, ovunque. E non siamo in pochi a pensare che questa forma di trasparenza sia in realtà diventato uno strumento di potere. Senza i numeri visibili da tutti – se non dagli addetti ai lavori – cambierebbe quasi tutto: i curatori delle playlist potrebbero tornare a scommettere, la critica non specializzata potrebbe ricominciare a parlare di dischi belli a prescindere dal loro successo, la canzone d’autore potrebbe tornare a Sanremo a fare la canzone d’autore, così come i rapper potrebbero calcare quel palco facendo loro stessi e non portando canzoni scritte da sette autori che sono uguali a altre dieci canzoni scritte dagli stessi sette autori.

Tra ironia e meme memorabili

La cronaca del Festival nei media ufficiali si è ben presto mescolata e confusa con la ridda di commenti e chiacchiere da bar sparsi in mezzo ai social, tra profili satirici e una profusione di meme, grazie anche a una serie di gag e pose in diretta che sembravano fatte apposta per incentivare ulteriore buzz, come se ce ne fosse davvero bisogno. 

Basti pensare al “povero” John Travolta che è stato travolto dallo “scandalo” di un balletto galeotto (oltre che da un probabile lauto cachet), diventando così ancor più meme di quanto già non lo fosse in passato. Sembrava un’impresa riuscirci ma a Sanremo vige il famoso claim “impossible is nothing“.

Tra i contributi ironici che abbiamo preferito ci sono sicuramente ”le pagelle di cui non avevate bisogno” di Lercio, realtà che abbiamo tra l’altro avuto il grande piacere di intervistare qui qualche mese fa. 

Peschiamo qualche votazione a caso, tra le tante che sono state pubblicate, giusto per farci un’ultima risata finale.

Diodato: 4,5 – Quattro anni fa ha vinto Sanremo e subito dopo è esplosa la pandemia. Voto basso per precauzione.

Loredana Bertè: 3262LB – È il numero con cui la Pantone ha registrato il blu dei suoi capelli.

Geolier: 4 – Il fatto che non si capisca il testo è l’ultimo dei problemi.

Storia locale, valore globale: il caso Geolier.

Ripartendo proprio da Geolier, qui sopra citato, spendiamo una riflessione già emersa in uno dei nostri talk dello scorso anno “Il creator come professione e la potenza delle nuove narrative glocal” dello scorso anno, ripensando a una serie di fenomeni mediatici (dalla musica alle serie tv) che sempre di più sono emblema di comunità e sentori locali ma che riescono poi a diffondersi in maniera più estesa e generalizzata nei confronti del grande pubblico, generando grande interesse.

Molti editori vanno a cercare storie locali, accade a Padova ma può essere ovunque. Nella logica di saturazione nel mercato dell’intrattenimento, la mole di contenuti che ha sempre raccontato i grandi centri, ha creato un interesse ai contenuti di provincia, storie semplici in cui è facile immedesimarsi, “high concept” ma raccontati in un contesto nuovo. La città diventa contenuto, il territorio diventa contenuto, un creator naturale perché la storia ce l’hanno dentro.

Anche Geolier rientra in uno di questi casi, cantando in larga parte utilizzando il dialetto napoletano, cosa che l’ha portato anche al centro di numerose polemiche per il plebiscito incredibile con il quale è stato incoronato nella classifica del “pubblico a casa”, fattore non sufficiente però per consentirgli di aggiudicarsi la vittoria finale (per lui comunque il secondo posto e la vittoria nella serata delle cover), indirizzata dalla giuria della sala stampa e da quella delle radio.

Al netto di queste vicende, si è subito chiarito che Geolier non è un passeggero fenomeno locale, ma già da tempo i milioni di ascolti su Spotify e l’estrazione del suo pubblico spalmata lungo tutta la penisola ci ha fatto comprendere la dimensione dell’artista e appunto la sua accezione “glocale”, che si nutre di un contesto locale molto preciso ma con un richiamo su larga scala.

La new wave della scena partenopea degli ultimi anni tra l’altro è un dato di fatto, basti pensare al clamore mediatico del progetto di Liberato, oppure all’ascesa dei Nu Genea. Senza contare tutto l’hype generato dalla serie tv “Mare Fuori” e dal recente terzo scudetto della squadra di calcio del Napoli (fatto che non accadeva dal 1990 in piena “era Maradona”, con tutto il carico di storytelling e delirio mistico/religioso che la cosa ha portato con sé.

Non possiamo che utilizzare un altro recente contenuto, pubblicato solo qualche giorno fa dal nostro amico e collega Alberto Bullado su L’Indiependente:

Ecco che una Napoli con un immaginario cristallizzato negli anni ‘80, può rompere finalmente il legame con il proprio passato “ingombrante”. Perché forse è finalmente giunto il tempo di credere in nuovi eroi (o semplicemente in se stessi) per raccontare con nuovi linguaggi una nuova storia. E portare Napoli oltre, avanti. 

È questo l’aspetto catartico che mi aveva affascinato di più. L’opportunità di crescita, di evoluzione, di cambiamento di mindset. Quella di una Napoli senza complessi di inferiorità, che non dev’essere più seconda a nessuno.

Ora non saprei dire se questa epifania ha davvero ottenuto i risultati che mi ero augurato, ma quel che è certo è che Geolier si trova in questo crocevia, dove il rap è diventata una forza accentratrice totale e dove il soft power napoletano è ai suoi massimi storici.

Chi pensa che Geolier sia un fenomeno solo di e per Napoli significa che non ha capito Geolier. Nel suo successo ci vedo più qualcosa di generazionale che di territoriale. Perché nel frattempo i gusti musicali in Italia sono cambiati. La lingua non è più un ostacolo. Anzi il napoletano è piuttosto un detonatore.

Tirando le somme, Sanremo ci ha offerto tanto in termini di spunti, riflessioni e insight sul nostro tempo. Al netto di tante forzature e situazioni ben oltre il limite del kitsch e del trash, la kermesse ha saputo creare questo contenitore ibrido e diffuso in cui ogni contenuto è riuscito a diventare virale ed autonarrante nel momento stesso in cui è apparso per la prima volta, toccando con velocità disarmante valori di visibilità impossibili da concepire in altri contesti nazionali. Prendiamone spunto, perché abbiamo molto su cui riflettere.

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