Social-first branding: da TikTok a Threads, comunicare dove le persone vivono davvero

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16 October, 2025


Il branding tradizionale, costruito su spot televisivi, pagine stampa e campagne pianificate a lungo termine, non è più sufficiente a garantire valore. Oggi l’identità dei marchi si forma e si rafforza là dove le persone trascorrono la maggior parte del tempo: i social network. Piattaforme come TikTok, Instagram, YouTube Shorts e, più recentemente, Threads, non sono più solo canali di distribuzione dei contenuti, ma veri e propri spazi culturali dove le narrazioni prendono vita e si diffondono con logiche endogene.

Secondo i dati GWI 2024, gli utenti passano in media oltre 2 ore e 23 minuti al giorno sui social, con picchi che raggiungono le 3 ore nella fascia 16-24 anni. TikTok ha superato 1,7 miliardi di utenti attivi mensili nel 2024, mentre Threads ha raggiunto 175 milioni di utenti attivi nell’estate 2024, segnando il più rapido tasso di adozione mai registrato da un’app di Meta. In questo scenario, il contenuto non è più un veicolo secondario del brand, ma il principale. La sfida per i marketer diventa quindi progettare strategie social-first, capaci di unire autenticità e performance. Ma come si costruisce davvero un brand che vive nei feed quotidiani degli utenti senza disperdere coerenza e valore?

Dalle origini dei social al social-first branding

L’evoluzione verso il social-first branding non è avvenuta all’improvviso: è il risultato di oltre quindici anni di trasformazioni progressive nel modo in cui i brand hanno abitato i social network. Nei primi anni di Facebook (2007-2012), la logica era quella del broadcasting digitale: le aziende replicavano online lo schema della comunicazione unidirezionale, pubblicando contenuti pensati come trasposizioni delle campagne tradizionali. L’arrivo di Instagram nel 2010 ha introdotto un linguaggio più visivo ed esperienziale, spostando l’attenzione sulla costruzione estetica del brand e sull’influencer marketing.

La vera discontinuità si è verificata con TikTok nel 2016, che ha ribaltato la centralità della produzione professionale introducendo algoritmi capaci di premiare creatività spontanea, autenticità e dinamiche partecipative come le challenge. È qui che nasce il concetto di social-first: il contenuto non è più derivato da campagne pensate altrove, ma viene progettato nativamente per il linguaggio e le logiche della piattaforma.

Non a caso, secondo dati Statista, nel 2023 TikTok è stata l’app più scaricata al mondo per il quarto anno consecutivo, diventando terreno obbligato di sperimentazione per i brand.

Threads, lanciata da Meta nel 2023 e cresciuta rapidamente fino a 175 milioni di utenti attivi nel luglio 2024, ha consolidato questa traiettoria: un ambiente conversazionale dove i marchi sono chiamati a essere presenti non come inserzionisti ma come interlocutori. Così il branding si è spostato dall’essere una sovrastruttura esterna al vivere dentro le conversazioni quotidiane. In altre parole, il social-first non è un canale in più: è il cuore stesso del posizionamento.


Linguaggi e formati nativi: la nuova grammatica del contenuto 

Il social-first branding non si limita a essere presente sulle piattaforme: significa adattare i contenuti ai linguaggi nativi che regolano la visibilità e la partecipazione degli utenti. Ogni social ha codici specifici che non possono essere ignorati. Su TikTok, ad esempio, i video verticali brevi (15-60 secondi) vengono premiati dall’algoritmo se capaci di catturare l’attenzione nei primi 3 secondi, integrando trend sonori, challenge o narrazioni iper-concentrate. Secondo Kantar, il 67% degli utenti ricorda un brand più facilmente se questo adotta i formati musicali tipici della piattaforma. 

Instagram ha spostato la centralità dalle foto curate ai Reels, rafforzando la convergenza con TikTok, mentre YouTube Shorts si è imposto come alternativa per intercettare pubblici più ampi con dinamiche simili.

Su Threads, il linguaggio è diverso: conversazioni brevi, tono informale, continuità di interazioni piuttosto che contenuti virali. Qui il successo non dipende dalla produzione estetica, ma dalla capacità di un brand di inserirsi in dialoghi culturali senza sembrare forzato. Secondo una ricerca HubSpot 2024, i brand che adottano uno stile conversazionale su Threads generano un tasso di engagement doppio rispetto a quelli che mantengono un tono istituzionale.

La grammatica social-first si fonda su tre pilastri: immediatezza, autenticità e adattabilità. Non si tratta solo di “declinare” un messaggio, ma di concepirlo per nascere e vivere all’interno di un ecosistema sociale preciso. Un contenuto che non rispetta queste regole viene percepito come estraneo e perde rilevanza, indipendentemente dalla spesa pubblicitaria.


Strategie di engagement: dal semplice calcolo delle impression alla costruzione di relazioni partecipative

Il passaggio al social-first branding non riguarda soltanto i contenuti, ma anche la capacità di generare engagement autentico e trasformarlo in comunità attive. I dati confermano questa tendenza: secondo Hootsuite 2024, i contenuti generati dagli utenti (UGC) producono un tasso di conversione superiore del 29% rispetto ai contenuti realizzati direttamente dai brand. Questo perché la fiducia non nasce dalla perfezione formale, ma dal riconoscimento di esperienze condivise. La logica cambia radicalmente: l’engagement non si misura solo in like o commenti, ma nella capacità di un brand di generare coesione narrativa e stimolare produzione di contenuti da parte della community. In questo senso, la community diventa un’estensione del brand e, in alcuni casi, il suo asset più prezioso. Le strategie di successo sono quindi quelle che lasciano spazio all’utente come parte integrante del processo creativo, mantenendo però una regia chiara per garantire coerenza identitaria.


Performance e ADV social: misurare il ritorno del branding nativo

Il social-first branding non può prescindere da una misurazione accurata delle performance. L’ADV sui social, infatti, è ormai il principale motore della spesa digitale: secondo i dati IAB Europe 2024, la pubblicità online in Europa ha raggiunto i 96,9 miliardi di euro, con il social advertising come segmento più dinamico (+13,5% su base annua). Per i brand questo significa che la capacità di legare contenuti nativi e investimento media non è solo un’opportunità, ma una condizione di sopravvivenza competitiva.

Il modello vincente non è quello della “campagna spot” calata dall’alto, ma quello delle always-on strategy, in cui creatività e media lavorano in sinergia continua. TikTok, ad esempio, ha introdotto il formato Spark Ads, che permette ai brand di amplificare contenuti organici creati dagli utenti o dagli influencer, trasformandoli in annunci a pagamento senza snaturarne l’autenticità. Meta, con Threads, sta sperimentando formati pubblicitari ancora più conversazionali, in linea con il posizionamento della piattaforma.
La misurazione richiede KPI nuovi: non solo clic e impression, ma metriche di engagement qualitativo, come il tasso di condivisione, la produzione di UGC e la permanenza nelle conversazioni. 

Come la Gen-Z sta riscrivendo le regole del branding

La Generazione Z, che rappresenta ormai oltre il 30% della popolazione mondiale con un potere d’acquisto stimato in 360 miliardi di dollari negli Stati Uniti, è il segmento che più di ogni altro sta ridisegnando le regole del branding. Secondo uno studio di Deloitte 2023, il 75% degli under 25 considera l’autenticità il fattore più importante nella scelta di un brand, mentre il 62% è disposto ad abbandonare un marchio se percepisce incoerenza tra valori dichiarati e comportamenti effettivi. Questa sensibilità rende i social media il campo d’azione privilegiato: TikTok, Instagram e Threads non sono solo canali di intrattenimento, ma spazi dove la Generazione Z cerca rappresentazione, dialogo e riconoscimento identitario.

L’engagement con questo pubblico non si ottiene attraverso messaggi patinati o storytelling calati dall’alto, ma con contenuti partecipativi, ironici, vulnerabili, capaci di rispecchiare le imperfezioni della vita reale. 


Una Generazione multi-piattaforma

La Generazione Z è profondamente multi-piattaforma: secondo il Digital 2024 Global Overview Report, l’utente medio a livello globale utilizza 6,7 piattaforme social diverse ogni mese. Nella fascia 16-24 anni, il dato è ancora più significativo, con una maggiore propensione a sperimentare nuovi ambienti digitali e a muoversi tra ecosistemi differenti. Questa frammentazione obbliga i brand a concepire un’identità fluida: coerente nei valori, ma capace di adattarsi ai linguaggi nativi e alle dinamiche specifiche di ciascun contesto. La sfida per i marketing manager è quindi duplice: da un lato costruire fiducia, dall’altro mantenere rilevanza in ambienti culturali che si trasformano rapidamente e che rifiutano i modelli comunicativi uniformi del passato.


Contenuti nativi per piattaforme non convenzionali

Il social-first branding non è un esercizio estetico, ma una disciplina strategica che richiede metodo e capacità di adattamento. Le piattaforme emergenti — da BeReal a Discord, fino a Twitch e ai formati sperimentali di Threads — dimostrano che l’attenzione degli utenti si frammenta in micro-ecosistemi, ciascuno con regole proprie. Per i brand, il valore aggiunto non è moltiplicare indiscriminatamente la presenza, ma sviluppare una strategia modulare, capace di declinare l’identità senza snaturarla.

Un approccio vincente parte dall’analisi culturale: comprendere perché gli utenti abitano uno spazio digitale, quali codici usano, quali comportamenti generano appartenenza. Da qui, si costruiscono contenuti nativi, che rispettano la grammatica della piattaforma — che siano brevi video su TikTok, thread conversazionali su Threads, snapshot autentici su BeReal o interazioni in tempo reale su Twitch. La regola è semplice: i contenuti che funzionano sono quelli che sembrano appartenere organicamente alla piattaforma, non quelli “calati dall’alto”.


3 linee guida per orientare le aziende

A livello operativo, i brand che intendono presidiare le piattaforme non convenzionali devono adottare un metodo strutturato che tenga insieme creatività e disciplina strategica. Tre linee guida possono orientare le aziende.  La prima è la sperimentazione controllata: testare formati e linguaggi innovativi – dai micro-video ai contenuti effimeri, fino alle interazioni con intelligenze artificiali generative – senza cadere nell’errore di disperdere budget in iniziative estemporanee. Questo implica prototipare campagne in scala ridotta, analizzarne i ritorni e solo in seguito scalarle.

La seconda direttrice è la misurazione qualitativa. Limitarsi a KPI quantitativi come impression o click-through rate non basta più. Il vero discrimine sta nella capacità di rilevare indicatori di profondità, come brand recall, sentiment analysis, tasso di coinvolgimento autentico e produzione di user generated content. Sono queste le metriche che raccontano se un contenuto è diventato parte della cultura della piattaforma o se è rimasto un semplice spot adattato al formato.

Infine, la terza direttrice è l’integrazione trasversale. I contenuti social-first non possono rimanere isolati, ma devono connettersi al CRM, alle campagne ADV più ampie e alla customer experience complessiva. È in questa intersezione che il contenuto diventa leva di business: ciò che accade nei feed digitali deve riflettersi nei funnel di conversione e, viceversa, i dati provenienti dal CRM e dall’ADV devono alimentare la personalizzazione delle narrazioni social.

Questo approccio integrato consente ai brand non solo di rispettare i codici linguistici delle piattaforme emergenti, ma di trasformarli in vantaggio competitivo. In definitiva, saranno le aziende capaci di unire rigore metodologico e libertà creativa a costruire identità davvero rilevanti: radicate nella cultura digitale, ma al tempo stesso misurabili in termini di performance. Il futuro del branding, infatti, non si giocherà più nelle boardroom aziendali, ma nei feed quotidiani in cui le persone vivono, scrollano, reagiscono e decidono a chi concedere fiducia. 

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