Oltre i confini del marketing: l’impatto sociale del Brand Activism.

Se le parole "brand" e "marketing" sono spesso associate a profitto e consumismo, un affascinante termine riecheggia con limpida purezza nel panorama della comunicazione pubblicitaria: il Brand Activism.

20 October, 2023 - ~ 10.5 minuti

Non si tratta solo di vendere prodotti o servizi, ma di usare il peso e la risonanza di un marchio per far riflettere su temi socio-politici importanti. Dal cambiamento climatico alle disuguaglianze razziali, passando per i diritti LGBTQ+ e la lotta contro la crudeltà sugli animali, le aziende non sono più contenitori passivi di valori commerciali, ma diventano voci autorevoli nel dibattito pubblico, sfruttando la propria influenza per apportare un contributo significativo alla società.

Ma quali sono gli episodi di Brand Activism che hanno realmente scosso le fondamenta dell’mondo pubblicitario? In questo contributo ci siamo immersi nell’analisi di alcuni casi particolarmente affascinanti. Il nostro obiettivo? Stimolare una riflessione sulla reale importanza dell’etica nel business e i sui effetti.

Storia del Brand Activism: Pionieri e Visionari del passato

Ford Motor Company (1914 ) per la parità salariale.

All’inizio del XX secolo, Henry Ford e la sua Ford Motor Company hanno rappresentato uno dei primi esempi di Brand Activism. Nel 1914, Ford introdusse la “Five-Dollar Day”, una retribuzione rivoluzionaria di 5 dollari per una giornata lavorativa di otto ore, ben superiore alla paga media del periodo. Anche se l’obiettivo primario era di consolidare la forza lavoro e ridurre l’altissimo turnover, c’era un’ulteriore implicazione sociale dietro questa mossa: Ford aspirava a creare una retribuzione che garantisse ai suoi dipendenti uno stile di vita dignitoso, trasformandoli in potenziali clienti capaci di acquistare le auto che essi stessi producevano. Un dettaglio particolarmente avveniristico di questa iniziativa era che le donne, spesso emarginate nel mercato del lavoro dell’epoca, erano incluse in questo aumento salariale, segnando un passo significativo verso la parità di genere nell’industria.

Levi Strauss & Co (Anni ’50) contro la discriminazione razziale.

Levi Strauss & Co, conosciuta in tutto il mondo per i suoi iconici jeans, non si è distinta solo come azienda di successo nell’industria della moda. Durante gli anni ’50, ha assunto un ruolo pionieristico nell’affrontare le tensioni razziali, diventando un simbolo del Brand Activism.

Gli anni ’50 sono stati segnati da profonde divisioni etniche negli Stati Uniti. La segregazione era legale in molti stati del sud e la disparità era una prassi comune anche al di fuori di questi. In questo contesto, nel 1952, Levi Strauss & Co, sotto la guida del suo CEO Walter Haas, ha deciso di prendere una posizione chiara e coraggiosa contro le ingiustizie basate sull’origine etnica nelle proprie fabbriche.

L’azienda ha introdotto politiche interne che proibivano qualsiasi forma di pregiudizio, sia nella selezione del personale che nella gestione quotidiana delle operazioni. Questo impegno si estendeva non solo alle fabbriche negli stati del nord, ma anche in quelle situate negli stati del sud, dove le divisioni erano più radicate.

Inoltre, Levi Strauss & Co ha sostenuto attivamente la causa dei diritti civili, donando fondi a diverse organizzazioni che lavoravano per l’uguaglianza. L’azienda ha anche incoraggiato altri imprenditori e aziende ad adottare politiche simili, contribuendo a creare un movimento più ampio nel settore privato contro le ingiustizie razziali.

Questa presa di posizione da parte di Levi Strauss & Co ha affrontato resistenze sia interne che esterne, con alcuni clienti e partner commerciali che hanno minacciato di rompere i legami a causa della sua visione progressista. Tuttavia, nonostante le sfide, Levi Strauss & Co ha mantenuto la sua posizione, ritenendo che la lotta per l’uguaglianza e la giustizia fosse più importante del profitto.

The Body Shop (Anni ’70) combatte la crudeltà sugli animali

Negli anni ’70, il panorama socio-culturale del Regno Unito era in forte turbolenza, in particolare riguardo al benessere degli animali. Manifestazioni, proteste e campagne di sensibilizzazione erano all’ordine del giorno, con un crescente numero di attivisti che esprimevano la loro opposizione alla sperimentazione animale, considerata crudele e inumana. In questo contesto di crescente consapevolezza, nel 1976, Anita Roddick fondò The Body Shop a Brighton, East Sussex. Con una chiara missione etica, l’azienda si è posta in netto contrasto con molte delle pratiche dell’industria cosmetica di quel periodo. Roddick, con la sua visione innovativa, introdusse prodotti che non erano solo eticamente prodotti, ma anche venduti in contenitori riutilizzabili, promuovendo un approccio ecologico.

Ma la principale differenza risiedeva nella sua ferma posizione contro la sperimentazione animale. Questo impegno ha rappresentato una svolta nell’industria. Mentre molti brand di cosmetica testavano i loro prodotti sugli animali, The Body Shop garantiva che i propri prodotti fossero 100% cruelty-free, conquistando il cuore di milioni di consumatori consapevoli.

Il successo di The Body Shop ha rapidamente oltrepassato i confini britannici. Il marchio si è espanso a livello internazionale e ha aperto filiali in vari paesi. Oltre al suo impegno contro la sperimentazione animale, l’azienda ha promosso campagne su temi come i diritti umani, l’ambientalismo e il commercio equo e solidale.

La posizione etica di The Body Shop ha stimolato un cambiamento all’interno dell’industria cosmetica. Molti brand, ispirati dall’impegno di Roddick, hanno iniziato a rivedere le loro pratiche e a adottare approcci più etici e sostenibili. Questo ha sottolineato l’importanza e l’efficacia di un’etica imprenditoriale forte, mostrando che le aziende possono avere successo mantenendo al contempo un alto standard morale.

Avon (Anni ’80): per le pari opportunità.

Un altro importante capitolo nella storia del Brand Activism riguarda la promozione della parità di genere. Negli anni ’70, il femminismo era in pieno fermento, e molte aziende riconobbero l’importanza di sostenerlo. Una di queste era Avon. Fondata nel 1886 da David H. McConnell, l’obiettivo primario dell’azienda era di offrire alle donne un’opportunità di guadagno in un periodo in cui erano per loro molto limitate, specialmente alle casalinghe. Nel 1880, McConnell ebbe l’idea di utilizzare profumi come omaggio promozionale, coinvolgendo una sua cliente, Mrs. Albee, come sua prima rappresentante. Questa strategia portò alla nascita della California Perfume Company, che venne ribattezzata “Avon” nel 1929, ispirandosi al luogo di nascita di Shakespeare, Stratford upon Avon.

Con una visione chiara sull’empowerment femminile, Avon espandeva rapidamente la sua presenza a livello globale, raggiungendo diversi continenti e, nel 1966, l’Italia. Oggi, il legame intrinseco di Avon con l’empowerment delle donne non è solo testimonianza di un impegno sociale, ma anche la principale ragione del suo enorme successo. L’azienda vanta attualmente un fatturato annuo di 9 miliardi di dollari ed è rappresentata da oltre 6 milioni di Presentatrici, consolidando la sua posizione come leader nel settore cosmetico e come pioniera nell’offrire opportunità di indipendenza economica alle donne in tutto il mondo. Ben 39 anni prima che le donne avessero diritto al voto, intuendone capacità e valore, McConnell diede loro l’opportunità di realizzarsi professionalmente.

Adidas (2019) per l’empowerment femminile

Un esempio più recente di Brand Activism a favore delle donne è stato il sostegno della società di abbigliamento sportivo Adidas al calcio femminile. Nel 2019, l’azienda ha annunciato un accordo storico per pagare alle giocatrici di calcio lo stesso premio in denaro delle squadre maschili nei suoi sponsorizzati tornei di calcio. Questa mossa ha contribuito a porre l’attenzione sulla disparità di trattamento tra uomini e donne nello sport, ricevendo ampio sostegno dal pubblico e attenzione mediatica.

Attraverso gli anni, sempre più aziende hanno scelto di dimostrare che il Brand Activism non è solo una strategia di marketing, ma un impegno genuino verso le cause sociali. Dai passi pionieristici fino alle più recenti azioni di attivismo, è evidente che i Brand possono effettivamente fare la differenza, evidenziando l’importanza di prendere una posizione e promuovere un cambiamento positivo contro ingiustizie e disparità sociali e di genere.

Esempi Eclatanti di Brand Activism: Le strategie vincenti

“Trasformare lo scopo in azione” è la filosofia che muove moltissime imprese, in particolare quelle dotate di leader responsabili e coraggiosi nel prendere una posizione concreta per il bene comune. Dopo aver approfondito alcuni esempi storici di Brand Activism, proviamo a tuffarci in alcuni casi studio di attivismo contemporaneo che hanno rovesciato i consueti obiettivi di marketing d’impresa, portando a risultati indimenticabili.

La coraggiosa mossa di Nike ‘Just Do It’ con Colin Kaepernick

Il Brand Activism rappresenta una scelta rischiosa che può rafforzare o danneggiare profondamente la reputazione di un Brand. Nike è stata una delle aziende che ha dimostrato in modo eclatante come una decisione audace possa portare a un successo senza precedenti.

Il caso in questione riguarda Colin Kaepernick, all’epoca quarterback dei San Francisco 49ers, che nel 2016 decise di inginocchiarsi durante l’inno nazionale degli Stati Uniti come atto di protesta contro la brutalità delle forze di polizia e le ingiustizie razziali nel suo Paese. Questa azione scatenò un acceso dibattito nazionale, dividendo l’opinione pubblica tra chi lo vedeva come un eroe e chi lo riteneva un provocatore o, peggio, come un traditore della Patria.

Nel 2018, Nike lanciò la campagna “Believe in something. Even if it means sacrificing everything” (Credi in qualcosa, anche se significa sacrificare tutto), mettendo Kaepernick al centro della sua strategia pubblicitaria. Questa scelta non era priva di rischi. L’immagine di Kaepernick, inginocchiato e sorridente, divenne immediatamente iconica. Se da un lato molti hanno elogiato Nike per il suo coraggio e la sua presa di posizione a favore dei diritti civili, dall’altro c’è stato chi ha reagito con indignazione, arrivando a bruciare le scarpe del brand in segno di protesta.

Tuttavia, i dati dimostrano chiaramente che questa mossa ha avuto successo. Secondo un report di Edison Trends, nel periodo successivo al lancio della campagna, le vendite online di Nike aumentarono del 31%. Questo notevole incremento può essere attribuito in gran parte al sostegno della generazione più giovane, che è sempre attenta ai valori e all’impegno sociale delle aziende.

Il caso di Kaepernick e Nike è un esempio eloquente di come un’azienda possa abbracciare una causa, anche se controversa, e ottenere risultati impressionanti quando lo fa con autenticità. La chiave del successo risiede nell’essere sinceri, nel credere fermamente nella causa scelta, e nel saper comunicare efficacemente il proprio messaggio. E Nike ha dimostrato che il Brand Activism può non solo essere etico, ma anche vantaggioso per il proprio business.

Ben & Jerry’s: Un gelato al sapore di giustizia sociale

Ben & Jerry’s è da sempre molto più di un semplice marchio di gelati. Dal suo esordio, l’azienda ha continuamente dimostrato un profondo impegno in cause sociali, diventando esempio lampante di come un’impresa possa coniugare profitto e principi etici.

Già negli anni ’80, i fondatori Ben Cohen e Jerry Greenfield supportarono apertamente cause come il disarmo nucleare, arrivando successivamente a sostenere il movimento Black Lives Matter, nato nel 2013 negli Stati Uniti contro la brutalità della polizia e l’ingiustizia razziale. Nel 2019, Ben & Jerry’s lanciò sul mercato il gusto “Justice Remix’d“, una combinazione di cannella e cioccolato, con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico sulla necessità di una riforma della giustizia penale negli Stati Uniti. Il packaging del prodotto presentava chiaramente il messaggio: “Abbattere le barriere. Costruire comunità. Lottare per la giustizia.”

Ma l’azienda non si è fermata solo a una campagna di marketing. Sul loro sito web ufficiale ha pubblicato una dichiarazione dettagliata in cui condanna apertamente il razzismo sistemico e invita a prendere misure concrete per garantire l’uguaglianza di diritti e opportunità per tutti. L’azienda ha inoltre stanziato fondi significativi per diverse organizzazioni che combattono contro la discriminazione.

Questo impegno autentico ha rafforzato ulteriormente la fedeltà dei consumatori e ha mostrato come un’azienda, attraverso azioni concrete e coerenti, possa davvero fare la differenza e influire positivamente sulla società.

Il Brand Patagonia contro il cambiamento climatico 

Patagonia, riconosciuta a livello mondiale come una delle marche leader nel settore dell’abbigliamento outdoor, ha recentemente compiuto un passo senza precedenti nel panorama del Brand Activism a beneficio dell’ambiente. Il suo fondatore, Yvon Chouinard, ha deciso di trasferire tutte le azioni dell’azienda a favore di due entità no profit impegnate nella lotta contro il cambiamento climatico. Una mossa che va oltre la semplice donazione, e che pone l’ambiente al centro della mission aziendale.

Da anni, Patagonia si è distinta per il suo impegno verso pratiche sostenibili. Chi non ricorda la campagna “Don’t Buy This Jacket” del 2011, che incoraggiava i consumatori a riflettere sull’acquisto e sul consumismo eccessivo durante il Black Friday? O le iniziative come “1% for the Planet“, attraverso la quale l’azienda si impegnava a donare l’1% delle vendite totali a organizzazioni ambientaliste.

La recente decisione di Chouinard eleva ulteriormente questo impegno. Cedendo il controllo dell’azienda a due organizzazioni no profit, Patagonia assicura che gli utili generati vengano reinvestiti direttamente nella Causa. In pratica, ogni acquisto di un prodotto Patagonia contribuisce direttamente alla protezione e alla conservazione dell’ambiente.

Chouinard, nella sua dichiarazione, ha sottolineato come questa mossa sia un tentativo di riallineare le priorità dell’azienda con le necessità del nostro pianeta.

“Il mondo naturale è ora il nostro principale stakeholder”, ha affermato, sottolineando che questo è il modo in cui oggi tutte le aziende dovrebbero operare.

Gillette: Una nuova visione di mascolinità per un mondo in evoluzione

Nel panorama moderno, non possiamo ignorare la recente evoluzione di Gillette, leader nel settore dei rasoi e prodotti per la cura della persona. Per anni, con il suo slogan “il meglio di un uomo”, Gillette ha celebrato la virilità maschile come simbolo di forza e successo. Tuttavia, i tempi stanno cambiando, e la marca ha riconosciuto l’esigenza di allinearsi ai principi dei consumatori moderni, in particolare dei Millennial.

Rispondendo a queste nuove sfide, e dopo accurate analisi di mercato, Gillette ha rivisitato il suo approccio, promuovendo una nuova immagine di uomo moderno: sensibile, empatico, gentile e consapevole. Questo cambio di direzione è stato evidente, nella loro campagna del gennaio 2019: “We believe: the best men can be” (Crediamo nel meglio che gli uomini possono essere); che ha contestato concetti come la mascolinità “tossica” e la violenza di genere.

Sebbene l’annuncio abbia rapidamente guadagnato visibilità, con oltre 18 miliardi di visualizzazioni e interazioni, ha anche suscitato diverse opinioni avverse, soprattutto a causa della sua rappresentazione piuttosto polarizzante della mascolinità.

Tuttavia, il ruolo di un brand non è solo riflettere la cultura contemporanea, ma anche influenzarla. La narrazione inizialmente controversa è stata successivamente riequilibrata da molte figure di spicco che hanno apprezzato l’intenzione positiva contenuta nel messaggio dello spot.

Le statistiche sono illuminanti. L’iniziativa di Gillette ha trovato risonanza tra l’80% dei Millennial, e le vendite del brand sono cresciute del 4% nel trimestre successivo al lancio del video. Ma il marchio non si è fermato alla mera comunicazione: ha tradotto le sue parole in azioni. Negli USA, ha destinato 1 milione di dollari annuali per tre anni a sostegno di organizzazioni no-profit che promuovono programmi per aiutare gli uomini a realizzarsi appieno.

Starbucks per i diritti LGBTQ+

Starbucks, una delle catene di caffetterie più famose al mondo, ha da tempo dimostrato un impegno genuino nella promozione dei diritti LGBTQ+. L’azienda non si è limitata a gesti simbolici, ma ha intrapreso azioni concrete che hanno avuto un impatto tangibile sulla società.

Tutto è iniziato nel 2013, quando Howard Schultz, allora CEO di Starbucks, ha risposto a un azionista che criticava l’appoggio dell’azienda al matrimonio tra persone dello stesso sesso, sottolineando che la filosofia di Starbucks non era guidata solo dal profitto, ma anche da un senso di responsabilità sociale. Schultz ha dichiarato pubblicamente: “Se ti senti rispettoso della tua quota azionaria vendendola e andando da un altro, fallo. Ma noi non vogliamo guadagnare a spese dei diritti umani”.

Nel 2019, in occasione del Pride Month, Starbucks ha collaborato con Lady Gaga per lanciare una linea di bevande a edizione limitata, con una parte del ricavato devoluto alla Born This Way Foundation, che mira a sostenere il benessere mentale dei giovani membri della comunità LGBTQ+ e a combattere gli effetti dell’intimidazione sociale che hanno dovuto subire.

L’azienda ha anche ottenuto il punteggio massimo nell’indice di uguaglianza aziendale della Human Rights Campaign, una delle principali organizzazioni di diritti LGBTQ+ negli Stati Uniti, grazie alle sue politiche e pratiche a favore degli impiegati LGBTQ+.

Epic Fail: Quando il Brand Activism si rivela un passo falso

In un’era in cui i consumatori sono sempre più attenti ai valori delle aziende che sostengono, il Brand Activism è diventato uno strumento potente per le imprese che cercano di collegare i loro marchi a cause sociali e politiche; ma c’è una sottile linea che intercorre tra il sostenere autenticamente una causa e cadere nella trappola dell’opportunismo.

Quando le aziende non riescono a navigare con attenzione in queste acque, il risultato può essere disastroso, con ripercussioni che vanno ben oltre una semplice gaffe di marketing. Vediamo insieme alcune azioni di Brand Activism che si sono rivelate un fiasco.

Gucci e un Empowerment Femminile controverso

Nel 2020, Gucci ha lanciato la sua campagna “Be a Lady, They Said” (Sii una signora, hanno detto); con l’obiettivo di promuovere l’empowerment femminile. Ma, mentre il messaggio cercava di elevare le donne, il marchio continuava a proporre standard estetici elitari, spesso inarrivabili. Molti hanno percepito questa mossa come un tentativo di Gucci di cavalcare l’onda del femminismo senza realmente comprenderne l’essenza.

Pepsi: Una semplificazione delle proteste sociali

Pepsi, nel 2017, ha tentato di sintonizzarsi con le cause delle giovani generazioni attraverso uno spot pubblicitario che ritraeva una nota celebrità nell’atto di offrire una lattina di Pepsi a un poliziotto, e questo… nel mezzo di una protesta. Lo spot è stato accusato di minimizzare le tensioni sociali e razziali, dando l’impressione che una semplice bevanda potesse risolvere problemi gravi e complessi.

H&M: Mancanza di consapevolezza culturale

Nel 2018, H&M è finita sotto i riflettori per una decisione di design apparentemente innocua. Una maglietta per bambini con la scritta “Coolest Monkey in the Jungle” (La scimmietta più cool della giungla), indossata da un bambino afroamericano, ha sollevato un vespaio di critiche. La scelta di H&M è stata vista da molti come insensibile e razzista, dimostrando come una mancanza di consapevolezza culturale potesse trasformarsi in una gigantesca gaffe.

Questi episodi evidenziano la necessità per le aziende di procedere con cautela e coscienza. Non si tratta solo di abbracciare una causa, ma di farlo con autenticità, comprensione e rispetto. In caso contrario, le aziende rischiano non solo la loro reputazione, ma anche la fiducia dei consumatori che, oggi più che mai, guardano oltre il prodotto e valutano l’etica e i valori del marchio che stanno sostenendo.

Per approfondire: le letture consigliate da NOOO Borders sul Brand Activism

Il concetto di Brand Activism sta guadagnando sempre più terreno nel panorama del marketing moderno. Se sei interessato ad approfondire l’argomento, ecco alcune letture che vi consigliamo:

Brand Activism: From Purpose to Action di Philip Kotler e Christian Sarkar.
Questo libro offre una panoramica approfondita su come le aziende oggi stiano diventando attiviste, sottolineando l’importanza di promuovere non solo tendenze, ma anche iniziative concrete per il bene individuale e collettivo.

Good is the New Cool: Market Like You Give a Damn di Afdhel Aziz e Bobby Jones.
Una guida su come le aziende possano fare del bene e guadagnare allo stesso tempo, mettendo in primo piano cause sociali e ambientali.

Rise Up: How to Build a Socially Conscious Business di Russ Stoddard
Questo testo offre una roadmap su come integrare la responsabilità sociale all’interno delle imprese, fornendo strumenti e strategie per costruire un business che rispecchi valori etici.

Il Brand Activism sta al marketing come l’architettura alla stabilità: una cosciente direzione artistica e strutturale. Senza una visione chiara e autentica, ogni tentativo di attivismo diventa come un grattacielo costruito su terreni instabili. Le aziende devono essere non solo ingegneri, ma anche visionari, assicurandosi che la loro voce risuoni con verità e trasparenza. Grazie per averci accompagnato in questo viaggio nel cuore dell’attivismo.

Alla prossima riflessione!