Nel corso degli anni le piattaforme adv hanno dato sempre più spazio al Machine Learning per ottimizzare le attività pubblicitarie degli inserzionisti. Intorno al 2009, con la nascita dell’RTB (Real Time Bidding), gli algoritmi erano già entrati di prepotenza nelle logiche dell’advertising online.
Ma si trattava di funzioni che, seppur in grado di interpolare molte variabili, erano tutto sommato semplici. Una decina di anni più tardi, con l’introduzione dell’Enhanced CPC e dello smart bidding, dapprima Google, poi Meta e le altre piattaforme hanno cominciato ad applicare il machine learning all’RTB, per essere certi di puntare (e spendere) solo per utenti davvero interessati al nostro annuncio e potenzialmente pronti alla conversione.
Oggi, se si pensa alle campagne Performance Max o agli annunci dinamici per la rete di ricerca di Google, o alle campagne Advantage+ di Meta, sembra quasi che il ruolo dell’advertiser sia semplicemente fornire alla piattaforma l’obiettivo di campagna e il budget totale da spendere: al resto, ci pensa l’AI! In realtà l’ottimizzazione strategica e il monitoraggio costante sono sempre fondamentali.
Se è vero che molte attività, una volta manuali, ora sono in mano agli algoritmi, è comunque importante notare come i dati utilizzati dal machine learning siano spesso forniti da strumenti su cui abbiamo un grande controllo e di cui siamo responsabili. E maggiori e migliori sono i dati che offriamo agli algoritmi, più efficace sarà l’esito delle ottimizzazioni automatiche
Ecco una lista non esaustiva di strumenti su cui possiamo agire per aiutare il machine learning delle piattaforme a dare il massimo:
- Sito web
- Pixel pubblicitari e Analytics
- Account ADV
- CRM
- Catalogo prodotti
- Profili social e presenza online
- Tracciamenti sui link referral
Sito web
Il sito è la presenza istituzionale di un brand su internet. È in genere la destinazione delle campagne, è un biglietto da visita per chi si approccia al brand e alla sua cultura, è un punto di riferimento per il consumatore che cerca informazioni attendibili e non mediate.
Quali attività sul sito ci permettono di avere migliore efficienza nelle campagne? La UX è essenziale: Google la annovera addirittura tra i fattori di ranking di un annuncio nelle aste. Una pessima UX porta in genere a un basso tasso di conversione, a un alto bounce rate e a una navigazione veloce, mordi e fuggi, registrando quindi pochi segnali da utilizzare negli algoritmi di machine learning.
Anche la SEO, cioè l’ottimizzazione del sito e dei testi per la ricerca organica, in realtà influisce molto anche sull’adv: le best practice SEO hanno ambito sia tecnico (per offrire una user experience fluida in navigazione, quindi buona velocità di caricamento, architettura dell’informazione ordinata, struttura delle pagine chiara ed intuitiva) sia contenutistico (per offrire le risposte alle domande degli utenti: testi chiari, precisi e di qualità, in linea con le query che gli utenti digitano nei motori di ricerca).
Lo studio che porta alle implementazioni SEO (in particolare la parte di contenuti) dovrebbe essere condiviso anche con l’adv: le keyword per cui si vuole comparire nei motori di ricerca sono in genere le stesse su cui puntare nelle campagne sulla rete di ricerca (e si possono usare anche in campagne come le Performance Max o le Demand Generation di Google), ma sono anche le espressioni che possono accendere la curiosità e l’interesse del nostro target in un annuncio display o in un post sponsorizzato sui social. Inoltre, utilizzare testi coerenti in annunci e sul sito permette di fornire un’esperienza fluida agli utenti. E anche per questo la corrispondenza tra testi degli annunci e contenuti del sito di atterraggio è in genere fattore di ranking nelle aste pubblicitarie!
Pixel pubblicitari e analytics
Ormai quasi tutti i siti commerciali hanno GA4 e il pixel Facebook e qualcuno ha anche i pixel di TikTok o Pinterest o Linkedin. E in genere utilizzano questi pixel per misurare l’efficacia delle loro attività pubblicitarie online. Ineccepibile.
Ma insieme con la misurazione, questi strumenti raccolgono dati che sono utilizzati dagli algoritmi delle piattaforme adv per profilare gli utenti, per capirne le preferenze, e arrivare a proporre loro messaggi pubblicitari in linea con i loro gusti.
È bene dunque configurare i vari pixel e anche GA4 (che è sostanzialmente il pixel di Google Ads) in modo da raccogliere quanti più dati pertinenti possibile e soprattutto assicurarsi che i dati siano puliti, precisi e ben strutturati.
Se siamo ad esempio su un e-commerce, non basta registrare che c’è stato un evento “purchase”. Sarà importante assicurarsi che l’evento porti con sé informazioni complete, come il valore del carrello, per permettere alle piattaforme di capire il potere d’acquisto dell’utente che ha convertito e riuscire poi ad ottimizzare la campagna per massimizzare il ritorno sull’investimento, ma anche i dettagli del prodotto o dei prodotti acquistati, per poter profilare gli utenti in ottica di up-selling o cross-selling.
È poi importante registrare anche gli altri eventi interessanti per la profilazione degli utenti: le viste di prodotto (anche qui, con i dettagli di ciò che è stato consultato, per permettere alle piattaforme adv di fare remarketing dinamico mirato), le aggiunte al carrello o alla lista dei preferiti, ecc.
Con le moderne campagne automatiche, spesso non è più necessario creare target audience basate su eventi e comportamenti (ad esempio, utenti che hanno abbandonato il carrello) perché sono le piattaforme stesse a creare quei pubblici e ad utilizzarli nelle campagne con obiettivo conversione. È dunque bene fornire alle piattaforme tutti i dati possibili per permettere loro di ottimizzare in maniera efficace.
Per quanto i vari servizi di tracciamento offrano una certa flessibilità nella definizione di eventi e parametri, il consiglio è di seguire quanto più possibile le linee guida e i suggerimenti offerti dalle piattaforme stesse: più i dati sono standardizzati ed ordinati, più sarà immediata ed efficiente la loro interpretazione da parte degli algoritmi (e più sarà semplice leggere quei dati anche in fase di reportistica!)
Account ADV
Ormai non esistono quasi più barriere per fare pubblicità online: ad esempio, con Google Ads servono meno di 10 minuti per aprire un account e cominciare a erogare annunci pubblicitari. Le informazioni richieste sono davvero poche (l’unica essenziale è la carta di credito!). Ma per procedere efficacemente con le attività pubblicitarie, ci sono alcune impostazioni dell’account che richiedono una certa attenzione.
Tralasciando le impostazioni più burocratiche (seppur essenziali, come la verifica dell’inserzionista), ci sono alcune impostazioni che possono aumentare l’efficienza delle campagne pubblicitarie. L’obiettivo è sempre quello di massimizzare i dati a disposizione del machine learning.
È bene quindi collegare le piattaforme adv con tutti i tool che possono fornire informazioni: ad esempio, Google Ads può essere connesso con GA4, con la Search Console, con il Merchant Center per e-commerce, con le schede località di Google MyBusiness, con gli account Firebase di eventuali app o con il Google Play Store; un account adv Meta può essere connesso con il pixel di Facebook, con il Catalogo Prodotti Meta, con l’SDK Meta in eventuali app per smartphone.
Per Google Ads, in particolare, è anche bene verificare gli eventi di conversione (obiettivi) impostati nell’account: questi possono essere di due tipi, primari e secondari. I primari sono eventi utilizzabili come obiettivi di campagna su cui ottimizzazione, i secondari sono eventi interessanti per il business, ma non utilizzabili come obiettivi. Semplicemente, la piattaforma riporterà quanti eventi secondari sono stati generati dalle campagne, ma non ottimizzerà su questi eventi.
Anche in business complessi, in genere gli obiettivi primari dovrebbero essere al più 2 o 3. Non ci sono problemi ad averne di più, ma va posta attenzione quando si crea una nuova campagna, accertandosi di ottimizzare su un unico evento (e non su tutte le conversioni primarie dell’account).
Se poi stiamo ottimizzando su una conversione “difficile”, che avviene raramente (ad esempio, siamo su un e-commerce di nicchia, con pochi purchase a settimana), possiamo valutare di aggiungere come conversione un evento correlato più frequente (ad esempio un add-to-cart): gli algoritmi di machine learning avranno più dati su cui costruire le loro previsioni.
Un altro aspetto importante per massimizzare l’efficienza del machine learning delle piattaforme è la frammentazione delle campagne pubblicitarie. Già da tempo, le diverse piattaforme spingono per ridurre al minimo la frammentazione nelle campagne con obiettivo conversioni: meglio avere più budget in poche campagne che tante campagne con target e annunci diversi, ma ognuna con poco budget. Più budget significa più libertà, più flessibilità per le piattaforme: significa poter testare di più, soprattutto nei primissimi giorni di campagna, spingendosi su target anche al di fuori di quelli suggeriti dall’inserzionista per capire se ci sono opportunità, per farsi un’idea più precisa del profilo di un potenziale customer, per raccogliere più dati da utilizzare come base per il machine learning.
CRM
Il CRM è la sorgente di maggior valore di dati di prima parte. La newsletter è uno dei migliori canali per generare conversioni e alimentare la loyalty, ma se il CRM ha dimensioni importanti, anche la condivisione con le piattaforme adv (per gli utenti che ne hanno dato il consenso) può portare ottimi risultati nelle campagne pubblicitarie online.
Se il CRM è stato ben strutturato e gestito, permette di avere informazioni essenziali per ogni customer. In particolare, il consenso alla profilazione a scopo di marketing con piattaforme di terze parti (es Google Ads o Meta) e lo storico degli acquisti (e da quest’ultimo magari il suo score RFM, Recency-Frequency-Monetary).
Gli utenti del CRM possono essere condivisi con la piattaforma di advertising (es Google Ads o TikTok) per creare custom audience di clienti già acquisiti, ma anche lookalike (cioè utenti simili a quelli caricati per abitudini di navigazione o di acquisto).
Se poi il CRM è particolarmente voluminoso e permette anche segmentazioni più avanzate, ad esempio in base al LTV (LifeTime Value) dell’utente o al suo score RFM, allora le custom audience possono essere diverse per tipo di consumatore, aprendo la via a strategie pubblicitarie più mirate.
Catalogo prodotti
Essenziale per promuovere i prodotti di un e-commerce su Google e sui social (ma lo stesso vale per Amazon!), i cataloghi prodotti sono relativamente semplici da generare, ma è importante ottimizzare tutti i campi a disposizione per massimizzare le performance, sia organiche che in campagne a pagamento: SKU o MPN ben definiti, nomi prodotto chiari e completi, descrizioni esaustive e soddisfacenti, costi e promozioni aggiornati, informazioni sui costi di spedizione e reso precise, ecc.
Più informazioni diamo alle piattaforme, più opportunità avremo di comparire per ricerche pertinenti (sia in organico che in campagne adv) o a utenti fortemente interessati ai nostri prodotti.
Profili social e presenza online
I social network sono probabilmente i network online più utilizzati: avere una presenza ben definita e organizzata da un lato aiuta il brand a porsi come valido protagonista nel suo mercato, dall’altro permette di generare, anche organicamente, traffico qualificato al sito e generare così ulteriori dati di prima parte utilizzabili in campagne adv. Sebbene la reach organica dei social sia sempre più bassa, è interessante notare come circa la metà di questa reach (utenti raggiunti dai post del profilo) sia di utenti non ancora follower, quindi potenzialmente “freddi” nei confronti del brand: offrire informazioni interessanti, con la possibilità di approfondimenti sul sito, può essere una buona mossa per aumentare il bacino di utenti dei pubblici poi utilizzabili in campagne a pagamento.
Tracciamenti sui link referral
Nelle attività di PR o comunicazione, sia online che offline, capita di poter pubblicare l’URL del proprio sito web su spazi di terzi. Se questi spazi sono su pagine di siti online, è utile aggiungere ai link dei parametri UTM per poter segmentare questo traffico sul sito (altrimenti categorizzato come referral) ed eventualmente utilizzarlo per campagne adv future. Questa pratica è ancor più importante se i link andranno in pdf, email inviate da servizi esterni o addirittura su flyer o affissioni (magari tramite un QR code): in questo caso, infatti, il traffico generato da questi link sarebbe categorizzato come traffico diretto, senza possibilità di studiarne le caratteristiche né di usarlo come pubblico di remarketing.
Insomma, è vero che l’adv digitale è sempre più accessibile e automatizzabile, ma la sua efficienza dipende dal lavoro, spesso manuale, svolto su praticamente tutti i touchpoint digitali del brand. Come cantavano i Cypress Hill a fine anni ‘90, “keep your s#!t in order, the money won’t stop”: un mantra più che mai valido!